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Esclusiva

Gennaio 26 2020
Apre "Metropoli di Gabriele Basilico" al Palazzo delle Esposizioni di Roma

250 opere, dagli anni settanta ai duemila, ripercorrono il pensiero di uno dei più grandi maestri della fotografia contemporanea. Ne abbiamo parlato con Giovanna Calvenzi, curatrice della mostra con Filippo Maggia.

«Fotografare è un momento tecnico, lo scatto arriva dopo» così Gabriele Basilico, considerato il fotografo di paesaggi urbani più conosciuto al mondo, raccontava la sua fotografia. Iniziò a scattare alla fine degli anni settanta, a Milano. La sua è sempre stata un’indagine sociale con al centro la città. E non la città monumentale, fatta di architetture isolate per esaltare la dimensione estetica dell’oggetto ma esattamente il contrario, si legge nella monografia pubblicata in occasione della mostra Gabriele Basilico. Metropoli al Palazzo delle Esposizioni di Roma, aperta dal 25 gennaio al 13 aprile 2020.

Basilico metteva sullo stesso piano l’architettura colta e quella ordinaria per costruire la città vera: «una visione dello spazio che una volta avremmo definito democratica» scrive.
«Si aggirava per i luoghi che aveva intenzione di fotografare, studiava la storia, conosceva la luce, immaginava la chiave, cercava l’intesa. E se succedeva qualcosa.. andava via, tornava più tardi. Gabriele aspettava che tutto fosse calmo per fotografare» racconta Giovanna Calvenzi, sua compagna di vita, curatrice della mostra con Filippo Maggia, insegnate e scrittrice di fotografia, una delle più grandi photo-editor italiane.
Hanno conosciuto la fotografia insieme, l’hanno scoperta e sono cresciuti con lo stesso passo, seppure hanno svolto due professioni diverse «A me è sempre piaciuto insegnare e scrivere di fotografia, a Gabriele interessava la pratica” dice Giovanna.

Metropoli, la mostra, tira fuori i temi principali che hanno attraversato la fotografia di Basilico: l’attenzione per le metropoli innanzitutto e per il paesaggio fatto dall’uomo anche se non ci sono uomini nelle sue fotografie, le stratificazioni storiche che caratterizzano gli spazi, le trasformazioni delle periferie. Quando Gabriele sul finire degli anni settanta realizzò Milano. Ritratti di Fabbriche, uno dei primi e pochi progetti non commissionati, non stava facendo un censimento, non sapeva che quelle fabbriche sarebbero state dismesse, stava semplicemente raccontando la realtà.

La mostra si apre con una lunga linea temporale che racconta la vita e le maggiori opere del fotografo e si articola in cinque grandi capitoli: oltre ai Ritratti di Fabbriche, ci sono Sezioni del paesaggio italiano, un’indagine sul nostro paese suddiviso in sei itinerari, realizzata nel 1996 in collaborazione con l’architetto Stefano Boeri e presentata alla Biennale Architettura di Venezia; Beirut, due campagne fotografiche esposte per la prima volta insieme, una in bianco e nero del 1991 che racconta la fine della lunga guerra civile e l’altra del 2011, a colori, che racconta la ricostruzione della capitale libanese. Le città del mondo sono un vero e proprio viaggio nel tempo e nei luoghi con gli occhi di Basilico, da Palermo a Napoli, Genova, Istanbul, Gerusalemme, Shanghai, Mosca, New York, Rio de Janeiro. Ed infine c’è Roma la città in cui Basilico ha lavorato molto spesso e forse più di tutte. «Mentre un filo conduttore delle fotografie di Gabriele sembra essere il cemento, a Roma arriva il marmo» aggiunge Giovanna «ed il confronto con l’aspetto monumentale della città diventa imprescindibile».
Com’era Gabriele quando scattava le foto? «Felice» risponde Giovanna senza esitare. «Gabriele era sereno quando fotografava, sicuro di sé. Contemplava lo spazio e soltanto dopo aver trovato l’intesa arrivava lo scatto».