Immaginare Domenico Starnone come un classico. «Che esagerazione», così esclama salendo per ultimo sul palco. Al Piccolo Eliseo di via Nazionale a Roma, sulle poltrone delle prime tre file, ci sono alcuni dei personaggi più noti del panorama letterario italiano. Scrittori e giornalisti che non sono qui in veste di critici ma di lettori di un amico.
L’ex-professore liceale, a lungo redattore delle pagine culturali de il manifesto – autore di Via Gemito, già vincitore del Premio Strega nel 2001, dell’Autobiografia erotica di Aristide Gambía e della trilogia sentimentale Lacci, Scherzetto e Confidenza – nonostante odi le smancerie, per una volta si lascia coccolare da un evento in suo onore. Dopo l’esordio come narratore nel 1987 con Ex cattedra, racconto di un anno scolastico, scrive su numerosi giornali, tra cui l’Unità, La Repubblica e il Corriere della Sera, dove negli anni novanta cura settimanalmente la rubrica La grammatica della scuola.
Guidati da Nicola Lagioia, uno ad uno si alternano sul palco, ognuno col proprio personale intervento, aggiungendo man mano tasselli a un mosaico che restituisce alla fine la complessità di un autore.
Nella prima pagina di Confidenza, l’ultimo libro di Starnone, pretesto per questa festa, c’è il germe di una verità cattiva ma anche la definizione di «un amore non deviato dall’ambizione». Dalle parole di Annalena Benini, giornalista letteraria de ilFoglio, emerge il contrasto su cui fa perno l’intero libro: l’amore e i suoi disastri.
«Chiunque viva una relazione – dice Lagioia – non può non provare ansia, leggendo questo libro, nell’immedesimarsi in questi personaggi». Dall’ansia di un banale litigio amoroso a quella della proiezione di sé: l’ansia che qualcuno scopra la discrepanza tra chi ci sforziamo di essere e chi siamo veramente, un’angosciosa recita continua tra il progetto e la realizzazione.
Ci vuole coraggio per raccontare una verità cattiva. Quello che per Melania Mazzucco sono i capelli, per Domenico Starnone è la barba. «Un rifugio sotto cui nascondersi per osservare il mondo, schivi ma non timorosi» conclude la scrittrice alla fine del suo intervento.
La capacità di Starnone di scavare nei fondi più bui dell’animo umano è straordinaria, come tutti i suoi amici non si sono stancati di sottolineare nel corso della festa. Ma un tassello altrettanto importante del suo mosaico è l’ironia dissacrante che applica su di sé e sugli altri.
La stessa autoironia con cui ha recepito il messaggio di Michela Murgia, «leggendo Starnone, in particolare l’Aristide Gambía, si capisce che anche dopo i 30 anni c’è vita. Con una persona che a quell’età è ancora capace di un erotismo del genere, io ci starei».
È l’ironia che emerge dalle parole di Francesco Piccolo: «È da venticinque anni che mi dice “sono vecchio”. Più che a una festa, se un po’ lo conosco, sta pensando che quello di oggi sia il suo funerale. Venticinque anni fa mi diceva “sono vecchio, sono malato, sto morendo” e sapevo che mentiva, oggi so che è vecchio, sono all’oscuro se sia malato, ma sicuramente, come ognuno di noi, in un certo senso, sta morendo».
Avvicinandosi a Domenico Starnone, guardandolo dritto negli occhi, emerge tutta la complessità del personaggio che i suoi amici hanno provato a comporre.
I titoli dei suoi libri sono molto minimali, quasi contenessero già tutto. Vale anche questa volta?
Direi di sì. Confidenza è un segreto che lega due anime, è l’amore come ricatto. Ma la sostanza di questo segreto non è importante, è secondaria. Sarebbe come chiedere a Kafka qual è la colpa del suo Processo. La cosa davvero importante è che l’inconfessabilità degli istinti più bassi diventa il legame più profondo tra due amanti, capace di tenerli stretti tutta la vita. Se devo dire la verità al contenuto del segreto non ci ho manco pensato.
Nell’autocostruzione di noi cos’è che fa crollare il nostro castello di carte?
Siamo noi stessi, ognuno sente il peso di un progetto da realizzare e vive la frustrazione di non arrivarci, sono i fondi di noi che ce lo impediscono, i nostri istinti più reconditi.
Quali sono le letture che più hanno contribuito a dare forma alla sua letteratura?
Ho scoperto la letteratura a 17 anni grazie ai Racconti di Calvino e l’ho subito fatto mio. Non so dove finisca quello che leggiamo ma sono convinto che debba diventare parte di noi. Nei miei libri non ci sono citazioni posticce. Non vale qualcosa che leggi se non diventa parte di te.
La citazione può essere talmente interiorizzata da portare uno scrittore ad utilizzare interi passi “prendendoli in prestito” da un autore preso come modello. Così la scrittrice Teresa Ciabatti: «lo scrittore mediocre se lo copi si stizzisce, il grande scrittore ti dice “fai pure”».