Era dalla crisi del 2008 che le piazze finanziarie europee non subivano un crollo simile. Non basta la Banca Centrale Europea a frenare la caduta. Giornata drammatica per Milano, che oltre a fare i conti con ottomila pazienti positivi assiste alla perdita di dieci punti percentuali di Piazza Affari. Le Borse asiatiche chiudono in rosso, con Tokyo che per la prima volta in trent’anni perde il 6,8% e Shanghai che rinuncia all’1,2%. Non viene risparmiato persino lo spread, che dopo aver toccato i 265 punti base, ora si aggira intorno ai 252. Malissimo anche Wall Street, con il Dow Jones (l’indice manifatturiero della Borsa americana) che perde quasi il 10%. Neanche nel “Lunedì Nero” del 1987 aveva avuto una performance peggiore.
«Oggi Lagarde ha fatto un pasticcio che hanno pagato tutte le borse mondiali», ha commentato Alessandro Barbera de La Stampa. La presidente della BCE, oltre ad aver previsto misure di politica monetaria piuttosto blande, ha invitato gli Stati membri a coordinarsi tra loro per trovare una soluzione comune alla crisi, quasi a lavarsene le mani. La conseguenza è stata che «i mercati hanno reagito malissimo». La numero uno di BCE è stata poi contestata per aver affermato di non essere lì per chiudere gli spread, «buttando alle ortiche otto anni di lavoro di Draghi, che invece aveva impostato tutta la sua politica monetaria sulla necessità di evitare all’interno dell’area euro una diversa valutazione del rischio tra i Paesi».
È prematuro, secondo Barbera, prevedere le conseguenze del crollo delle Borse di oggi, in particolare di quella di Wall Street: «I crolli di Borsa di per sé non significano nulla perché una piazza finanziaria oggi può andare a picco e domani recuperare. Il problema che ci dobbiamo porre semmai è se, alla luce del fatto che la BCE ha sostanzialmente dichiarato di non poter fare più di quello che ha promesso, i governi dell’area euro saranno in grado di dare una risposta comune, capace di convincere i mercati di potere uscire da questa crisi».
«Ci saranno conseguenze importanti per l’economia italiana, che ha relazioni intense con gli USA», aggiunge Fabrizio Goria, giornalista finanziario. «Il blocco dei voli deciso da Trump colpirà duramente il Made in Italy, che vive di export: inoltre, se blocchi le esportazioni di un Paese che oggi al mondo è visto come secondo cluster del virus (ancorché provvisorio) crei un grave danno reputazionale alla sua immagine».
Secondo Goria, il crollo di oggi è dovuto a diversi fattori. «In primo luogo, le decisioni della BCE e il pessimo intervento di Christine Lagarde hanno contribuito in modo decisivo al ribasso della Borsa di Milano. Basti pensare – continua – che durante il suo discorso l’indice è crollato da 17mila punti a poco meno di 15mila: parliamo di 16,92 punti, evento mai verificatosi, nemmeno l’11 settembre, per dare un’idea. Il silenzio della BCE durante la diffusione del virus ha sicuramente reso il mercato molto diffidente nei confronti delle strategie della Banca e il suo atteggiamento di oggi ha fatto il resto».
L’incertezza mostrata sul mercato statunitense dalla Federal Reserve è stato un altro fattore determinante: «Inizialmente i mercati avevano accolto favorevolmente la decisione di intervenire comprando Pronti Contro Termine a tre mesi per 500 miliardi in modo da dare liquidità alle banche, ma la successiva decisione di aumentare questa manovra a 1.500 miliardi ha fatto pensare agli investitori che la crisi avrebbe avuto dimensioni maggiori del previsto. Il Dow Jones ha perso il 9,99%, peggio che nel Lunedì Nero del 1987». A chiudere il quadro, secondo il giornalista de La Stampa, l’incertezza sui prodotti ETF (fondi a gestione passiva che seguono fedelmente gli indici generali) che, dal mercato americano, potrebbe presto arrivare anche in Europa.
Sugli scenari futuri, Goria è scettico: «Questa situazione può avere un impatto maggiore sull’economia rispetto alla crisi di Lehman Brothers perché, mentre quell’evento era circoscritto all’universo bancario, questa pandemia è un problema più ampio: nel 2008 non si era arrivati a misure drastiche come chiudere frontiere, voli e crociere». Secondo l’esperto, solo in Italia si è iniziato a comprendere la gravità dell’evento: «Siamo in quarantena, all’estero non hanno ancora ben capito cosa succede. Il mio timore è che più si va avanti a dire che non ci si deve fermare, più potremmo non essere in grado di controllare questa cosa: così facendo questa pandemia potrebbe essere ricordata come uno dei peggiori avvenimenti non solo per i mercati, ma anche per la vita economica globale».
Nel frattempo il Coronavirus continua nella sua letale corsa, lasciandosi dietro non più solo vite, ma anche interi comparti economici. Le regioni del Nord Italia – abituate a produrre circa il 30% del valore della ricchezza domestica – si fermano. Con loro, l’intero Paese. «Molti settori – soprattutto quello delle piccole e medie imprese – sono ora immobili, pensiamo alla cultura, al manifatturiero e al turismo». A dirlo è Monica Fantini, presidentessa di Conscoop, il Consorzio fra Cooperative di Produzione e Lavoro. «Le azioni che vanno portate avanti – e che già stiamo cercando di implementare – sono l’ampliamento della possibilità degli ammortizzatori sociali per i lavoratori, la cassa integrazione, anche se in questo caso non sono molto ottimista sui termini, e la sospensione degli adempimenti per i versamenti in scadenza». L’idea è quella di chiedere una moratoria di tutti i debiti a sostegno della liquidità delle imprese, con in più un’attivazione della sezione edilizia del fondo di garanzia per le PMI. In questo modo, si potrebbe «far fronte al pagamento dei lavoratori».
Il settore “ossatura” dell’economia italiana – quello delle costruzioni – conta oggi circa 110 milioni di euro fermi di lavori vinti e mai partiti. «Basterebbe dare un’accelerata a tutto ciò che è bloccato ma che è già stato stanziato, dare maggiore liquidità e quindi ossigeno alle pubbliche amministrazioni per centralizzare le risorse sulle imprese e infine alleggerire tutti i bandi sugli appalti».
Tra i Paesi europei, l’Italia è a oggi quello più colpito dal Coronavirus, ma qualora il contagio – come molti scienziati prevedono – si estendesse anche ad altri Stati, «ci sarà un ulteriore blocco che graverà ancora di più sull’economia». Quella in corso è una crisi «subdola, che sta intaccando la salute e la sicurezza, era inevitabile che avesse un’incidenza così forte anche in ambito economico».
Monica Fantini è sicura però che un momento di crisi può essere l’occasione per migliorare ciò che è stato realizzato fino a quel momento: «Il governo sta rispondendo molto bene, in fondo l’Italia nelle difficoltà sa essere veramente brava».
Nell’occhio del ciclone ci sono soprattutto le piccole e medie imprese italiane, che rappresentano più del 90% del tessuto economico del Paese. Di queste, oltre la metà è costituita da “micro-imprese”, quelle cioè che contano più di dieci dipendenti e oltre due milioni di fatturato e di volume totale di bilancio.
Luca ha 28 anni e lavora in una micro realtà artigiana a basso budget del monzese, che si occupa di assemblare articoli da cucina. «La problematica più grande per un’azienda come la mia, in una zona florida e redditizia come quella della Brianza, è il costo elevato delle attrezzature che servirebbero per rendere il lavoro più sicuro».
Insieme ai suoi colleghi, vorrebbe la chiusura per prevenzione dell’impresa, «non perché ci siano stati casi positivi al Coronavirus ma perché ritengo sia l’azione migliore da intraprendere, considerando che la Lombardia è il focolaio d’Italia». Nonostante ciò, Luca sa di trovarsi in una situazione complicata: «Mi rendo conto che se la mia azienda entrasse in quarantena, dato che dipende per la sua stessa esistenza da un cliente più grande, fallirebbe subito». La scelta, in altre parole, è tra salute e lavoro, esattamente il bivio davanti al quale si trovano numerose imprese a basso budget in tutta Italia: «Una ditta locale di trasporti, qui in Brianza, dopo la terza settimana di chiusura delle scuole, sue clienti, già aveva il fatturato pari a zero ed è stata costretta ad avviare la procedura di fallimento».
Finora l’azienda ha fatto tutto ciò che era in suo potere per tutelare i dipendenti: «Ci sono stati messi a disposizione gel e mascherine antibatteriche. Quando andiamo a prendere il caffè, il datore di lavoro ci ha esortato a utilizzare dei guanti in lattice. È evidente che non sia sufficiente, ma non è colpa dell’impresa».
Per le piccole aziende – e ancor più per quelle “micro” – sopravvivere in Lombardia non è mai stato semplice, già prima dell’epidemia: «Qui la concorrenza è molto forte. Soprattutto in Brianza ci sono molte industrie gigantesche che pretendono moltissimo e sono famose per essere spietate. Questo diventa un problema per le realtà più piccole, sofferenti per questo regime disumano che antepone l’affare alla prevenzione e al benessere del lavoratore, che invece dovrebbe essere al centro dell’attenzione».
La Lombardia è deserta, «nessuno l’aveva mai vista così, ricorda molto lo scenario post-apocalittico del telefilm Chernobyl». Da questa desolazione, però, emerge qualcosa: «L’aspetto positivo è che c’è molta solidarietà, anche nel condominio in cui vivo i giovani si sono messi a disposizione degli anziani, nei gruppi locali su Facebook ci si sta organizzando al meglio per supportarsi a vicenda. È un po’ quello che accadeva, come mi dicono sempre i miei genitori, nel corso delle due guerre mondiali. Qui forse siamo stati un po’ troppo distratti dal lavoro, dal cercare il successo senza mai pensare che bastava pochissimo per far emergere la nostra fragilità: un virus, che è molto più piccolo di un batterio, ci ha messo in crisi».