Attenzione! Questo articolo è stato scritto più di un anno fa!
!
Esclusiva

Marzo 18 2020.
 
Ultimo aggiornamento: Aprile 28 2021
«Fugaci come schiuma» La Peste Scarlatta, di Jack London

La malinconia e il disincanto verso un mondo che rialza la testa dall’ennesima catastrofe. Jack London all’ennesima potenza

Il mondo intorno a noi sta cambiando, da qualche giorno a questa parte lo ha già fatto. Molte delle attività che consideravamo scontate, naturali, di fatto non lo sono più. Sono in pausa. Le lunghe cene con gli amici, i concerti, gli aperitivi. Ce ne rimangono però altre, e non meno degne. Ci sono i libri, che in tempi come questi offrono oltre che sollievo, anche una possibilità di evasione. Ci si immerge, lettera dopo lettera, frase dopo frase, e pian piano da una pagina in bianco e nero possiamo perderci in boschi, praterie, piazze e città esotiche dove non siamo mai stati prima. Una volta ancora, in soccorso nei momenti di difficoltà viene la cultura.
 #letteraturedaquarantena


California, anno 2073. La terra riposa all’ombra di sterminate foreste, le spiagge sono il rifugio di cavalli selvaggi e il nido d’amore dei leoni marini. Branchi di lupi scorrazzano lungo strade in rovina, avvolte dalla vegetazione. Sopra ogni cosa, il silenzio. 
Che fine ha fatto l’uomo? 

Eccolo lì, in una grotta, insieme a pochi simili radunati intorno a un fuoco. Non se ne contano più di dieci all’interno, non più di poche centinaia in tutto il mondo. Sono per lo più giovani e abili cacciatori. Hanno affinato i loro sensi per fiutare il pericolo, cogliere opportunità, sopravvivere. Sono ragazzi senza nome, senza storia, senza coscienza di sé. Il loro unico legame col passato è un vecchio che non fa che piangere, tremare, ricordare. Si chiama James Howard Smith, professore universitario della Facoltà di Chimica di San Francisco, qualunque cosa significhi. Quando parla usa spesso parole incomprensibili, come “telefono”, “milioni”, “denaro”. Descrive cose che non esistono, come gli aeroplani o l’ignoranza. Sembra che i suoi occhi non vedano mai la realtà per come è, ma solo come era tanto tempo fa, prima che sull’umanità si abbattesse la Peste Scarlatta.  

San Francisco, anno 2013. Macchine volanti, comunicazione digitale, oligarchie capitaliste e classi sociali; otto miliardi di anime immerse in un equilibrio globale che sembra destinato all’eternità. È un mondo futuristico, ma non troppo diverso dal nostro, quello che Jack London (1876-1916) descrive per bocca del vecchio professor Smith, uno dei pochi sopravvissuti alla più letale pandemia della storia. Nei ricordi del professore, l’apocalisse prende il nome di Peste Scarlatta, un morbo estremamente contagioso e aggressivo che uccide pochi minuti dopo la prima manifestazione dei sintomi – colorito scarlatto del volto e progressiva paralisi degli organi vitali – e che porta in breve tempo al collasso della società. La rapidità con cui la malattia provoca la morte degli infetti getta le persone nella psicosi più cieca. Millenni di civilizzazione e di cultura si sgretolano dall’alba al tramonto. Nessuno ha più fede nella scienza, gli istinti più selvaggi divorano il raziocinio. Ciascuno sente che da un momento all’altro la faccia potrebbe arrossarsi, che i figli, i genitori, l’amore della vita, tutti potrebbero fuggire da lui, abbandonandolo senza pietà. Le città diventano presto delle immense fosse comuni, dei roghi senza fine. Tutti muoiono intorno al professor Smith: chi per la peste, chi per mano di altri uomini guidati dalla follia o dal più estremo opportunismo. Nell’arco di pochi giorni, gli incendi, gli spari e le urla si spengono.  
L’umanità è giunta sull’orlo dell’estinzione. 

«Fugaci i sistemi, come schiuma. Tutta la fatica dell’uomo su questo pianeta si è rivelata altrettanta schiuma».  
Lo sguardo del vecchio sessant’anni dopo è rivolto al passato, a un mondo che non esiste più e del quale non ha potuto fare altro che osservare, impotente, la fine. Il resto di umanità che lo circonda è più o meno direttamente parte della sua famiglia: i pochi miracolati superstiti hanno procreato tra di loro per rimettere in piedi la razza umana, ma non traspare alcun entusiasmo, nessuna fiducia nell’avvenire. Quello di London non è un giardino dell’Eden: la Peste non ha seguito alcuna Provvidenza nel decidere chi risparmiare. Uomini rozzi, incolti, violenti, donne che erano ricche e sfruttavano il prossimo, persone comuni senza alcuna dote particolare, sono ciò che resta del nuovo mondo. Che valore hanno allora la morale, l’etica, la cultura del lavoro, la solidarietà, l’impegno sociale? Agli occhi dell’autore tutto è disincanto. Anche la spensieratezza selvaggia dei giovani, che nulla conoscono di ciò che è stato, non lascia altro che l’amara consapevolezza di un ciclo destinato a ripetersi.  

«Fugaci come schiuma» La Peste Scarlatta, di Jack London
Jack London

Jack London non è uno scrittore accomodante né consolatore. A leggere i suoi romanzi e a scoprire la sua vita, si percepisce costante il peso di una stanca, amara consapevolezza della precarietà dell’esistenza umana. L’apocalisse, sotto varie forme, è presente in diversi suoi scritti: lo è ne Il Tallone di ferro, dove i sogni di un visionario socialista si infrangono contro una spietata controrivoluzione destrorsa. Lo è in Martin Eden, romanzo autobiografico in cui la sete di vita e di conoscenza del protagonista sprofonda in un totale nichilismo una volta svelata l’inconsistenza e l’ipocrisia del mondo borghese. Ma ciò che sorprende, e in parte sconvolge, è che in ognuna di queste opere, come anche ne La Peste Scarlatta, l’apocalisse non rappresenta mai la definitiva conclusione di qualcosa, quanto lo svuotamento di ogni significato morale, la caduta di ogni illusione.  
«Fugaci gli uomini, come la schiuma».