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Esclusiva

Marzo 22 2020.
 
Ultimo aggiornamento: Marzo 23 2020
Coronavirus, Alessandro Chessa: «Presto per risposte, Lombardia in frenata»

Italia prima al mondo per decessi legati al Covid-19. L’esperto: «Dati insufficienti per risposte certe, ma i contagi sono sempre meno».

L’Italia ha ormai sorpassato la Cina per numero di vittime nell’epidemia Coronavirus, dato sorprendente se si considera la differenza di popolazione fra i due Paesi, con la Lombardia regione con il maggior numero di contagiati in rapporto ai residenti. Il professore Walter Ricciardi, ex direttore dell’Istituto Superiore di Sanità ora impegnato contro la pandemia invita però a considerare le aree specifiche, con Wuhan e il Nord Italia non dissimili per superficie e numero di abitanti. Per interpretare questi dati a prima vista contraddittori, abbiamo intervistato lo studioso Alessandro ChessaData Scientist, CEO di Linklab, Responsabile Scientifico del Data Science Lab di ENI e docente Luiss.


L’Italia è il primo Paese al mondo per decessi legati al Coronavirus. Problema medico o di trasparenza dei dati?

«Non sono un epidemiologo, ma un data scientist, il mio contributo può mettere ordine tra i dati e i vari grafici che si vedono in giro, molti dei quali provengono da colleghi fisici affidabili, mentre circolano troppe illazioni basate sul nulla. Se mi permette il paragone, è come durante le elezioni, alla vigilia dello spoglio, quando ci si basa sugli exit poll e solo sui primi scrutini delle schede elettorali. Tutti vogliono capire e interpretare tutto, poi le cose si rivelano diverse, sia dai desideri che dalle previsioni catastrofiste. 

È evidente come, in valore assoluto, abbiamo superato il numero di morti della Cina e abbiamo quindi il record in questa triste classifica. Dubito che il caso dei morti dichiarati in Cina sia ‘truccato’ e men che meno può esserlo per l’Italia. Partendo dall’assunto che la provincia di Hubei più la città di Wuhan siano simili in dimensioni e popolazione rispettivamente all’Italia e alla Lombardia, abbiamo una sorta di parametro di confronto fra i due casi.

Le differenze nei risultati potrebbero essere tante, legate alla demografia, alla geografia, ai comportamenti sociali, ma la più evidente al momento sembrerebbe essere legata alle modalità del cosiddetto lockdown o quarantena. L’andamento delle curve dei decessi nel tempo è simile, ma la Cina sembra essere riuscita a saturare molto prima dell’Italia i contagi e quindi a limitare più efficacemente il numero dei decessi. Le previsioni sono ben sopra i cinquemila morti per il nostro Paese».

Secondo uno studio tedesco, l’alto tasso di letalità in Italia dipenderebbe dai fitti rapporti familiari fra giovani e anziani. È d’accordo? 

«Su questo punto, cioè quanto si muore rispetto al numero dei soggetti che contrae la malattia Covid-19, quindi rapporto morti/malati, mi sento di poter affermare che i dati che si leggono per le diverse nazioni non sono confrontabili, o affidabili, in questo momento.

Sappiamo che da un lato ci sono vari criteri, non del tutto standardizzati, per decidere se un soggetto è deceduto per Covid-19 in presenza di altre patologie anche molto più gravi, cosa che pesa sul numeratore della frazione, ma ancora più incerto è il numero di malati, che sta al denominatore.

In linea di principio andrebbe quindi diviso il numero dei decessi (numeratore) per il numero dei malati (denominatore). Tuttavia, è più che evidente che il numero di malati riscontrati dipenda dalle politiche che ciascuno Stato adotta per scoprirli.

Se consideriamo che più dell’80% sono malati asintomatici, difficilmente tracciabili se non con un’azione a tappeto di test con i tamponi, abbiamo un ordine di grandezza di incertezza nella determinazione del denominatore: molti Stati considerano malati soltanto quelli con sintomi evidenti, diversamente dall’Italia che inserisce nel computo anche gli asintomatici. 

Questa frazione, le abbiamo tutti studiate a scuola e ora tornano utili, ‘perde acqua’ sia sopra, al numeratore,  che sotto, al denominatore. Solo dopo che sarà passata la tempesta, rivalutando bene i criteri di misura di tutte le quantità in gioco, potremo capire meglio i tassi di mortalità, che magari saranno differenti da Paese a Paese, ma non credo certo nelle proporzioni attuali. Non abbiamo elementi sufficienti per una risposta attendibile».

Cosa dobbiamo aspettarci dal futuro? Sono affidabili le curve di previsione su cui tanto ci affanniamo?

«Anche per le previsioni nel medio periodo (mesi in questo caso) si sente di tutto e molti si cimentano con la speranza di guadagnare un po’ di fama, o semplicemente per una sfida scientifica. Io mi vorrei soffermare solo sulle cose certe. Il primo punto noto dai modelli che studiano la diffusione delle epidemie è che la crescita dei casi all’inizio è di tipo esponenziale, ossia che l’andamento è via via sempre più grande. Ogni infetto è in grado di contagiare in media un certo numero costate, poniamo tre, di individui sani, e se questi a loro volta ne infettano lo stesso numero il processo è moltiplicativo (3x3x3x3 e così via).

Dopo un certo lasso di tempo, per via di vari meccanismi, intervengono dei fenomeni di saturazione e l’efficacia del contagio diminuisce: invece di crescere senza sosta si ha un picco dei casi nella popolazione. A quel punto la curva flette ed entra in un regime nuovo che porta, appunto, alla saturazione, cioè al momento agognato in cui non ci saranno più nuovi casi di contagio.

Questo vale non solo per i contagi, ma anche per il numero dei decessi. Questo discorso ci serve a comprendere che, almeno in Italia, siamo ancora al punto di capire se siamo usciti o meno dal regime esponenziale. In Cina ne sono fuori da giorni, qui non è ancora così sicuro, o almeno dipende dalla zona dell’Italia che consideriamo: quello che si nota negli ultimi giorni è una grande differenza tra le varie regioni del Paese. 

Cosa ci dicono i numeri?

Dal grafico che segue, tratto dal gruppo pubblico Facebook Physicists against sars-cov-2, che traccia l’andamento dei decessi, si vede chiaramente che la zona rossa che comprende Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto sta uscendo dal regime esponenziale, quello “dritto” (notare l’asse delle ordinate in scala logaritmica, ossia con grandezze via via sempre più grandi: in curva tratteggiata nera che cresce indefinitamente), mentre le altre zone, che sono partite con i contagi successivamente alla zona rossa, sono ancora in pieno regime esponenziale [Il logaritmo di un numero in una certa base è l’esponente a cui bisogna innalzare la base per ottenere il numero stesso. Per esempio, il logaritmo di 100 in base 10 è 2 perché 10² fa 100, ndr].

In altre parole, la Lombardia sta frenando i contagi grazie alle misure adottate, mentre nel resto d’Italia il grafico mostra ancora un andamento di diffusione sempre più grande.

Chessa
Numero cumulato di decessi per zona nel tempo.
Red Zone: Lombardy, Emilia-Romagna, Veneto;
First Circle: Piemonte, Liguria, Val d’Aosta, Trentino Alto-Adige, Friuli VG, Marche;
Center Italy: Toscana, Umbria, Lazio, Abruzzo;
Southern Italy: Campania, Molise, Puglia, Basilicata, Calabria;
Islands: Sicilia, Sardegna.

L’attuale incertezza è capire la forma precisa e i parametri della curva di saturazione che si distacca dall’esponenziale (solo zona rossa). Esperti di ogni estrazione scientifica si stanno cimentando in questi giorni con le proposte più disparate, ma è evidente che non abbiamo una risposta. A seconda delle curve scelte si va da cinquemila a più di diecimila morti attesi a fine epidemia. Ora l’incertezza è per le altre zone del Paese.

Quando finirà il regime esponenziale per loro? Le misure di contenimento, essendo state imposte al centro-sud prima che i contagi partissero a pieno regime, saranno sufficienti per contenere in tempo la diffusione dei virus e farle arrivare più velocemente alla saturazione? Oppure la migrazione di migliaia di persone dal nord al sud metterà tutta l’Italia sullo stesso piano?