È un esempio tipico di trasversalità della medicina: ai pazienti affetti da Covid-19 vengono somministrati farmaci già impiegati per altre patologie. Pochi giorni fa un team dell’Istituto ospedaliero universitario “Méditerranée Infection” di Marsiglia, in Francia, ha pubblicato sull’ International Journal of Antimicrobial Agents i risultati di uno studio su idrossiclorochina e azitromicina nel trattamento di Covid-19.
L’idrossiclorochina è un antimalarico, che può essere utilizzato anche nella cura dell’artrite reumatoide e del lupus eritematoso sistemico. Modula il sistema immunitario, agendo attraverso tappe che riducono l’infiammazione.
L’azitromicina è un antibiotico della famiglia dei macrolidi, impiegato nelle infezioni batteriche delle vie respiratorie e attivo contro gli organismi intracellulari, che agisce interferendo con la sintesi proteica dell’agente patogeno.
Questa pubblicazione ha proseguito la strada intrapresa da un recente studio cinese, che riportava l’efficacia dell’idrossiclorochina e del suo analogo chimico clorochina nell’inibire il SARS-CoV-2 in vitro, espressione utilizzata per indicare fenomeni biologici riprodotti in provetta e non nell’organismo vivente. L’idrossiclorochina mostrava un profilo di sicurezza migliore in una terapia prolungata e un minor numero di interazioni con altri farmaci.
Ulteriori dati scientifici avevano evidenziato la validità in vitro dell’azitromicina contro i virus Ebola e Zika. Inoltre l’antibiotico era in grado di prevenire la sovrainfezione batterica nei pazienti con patologie del tratto respiratorio di origine virale.
L’équipe francese ha eseguito uno studio clinico non randomizzato in aperto. Vuol dire che l’assegnazione dei partecipanti alle differenti categorie di trattamento è stata decisa dallo sperimentatore e non dal caso. Il termine aperto indica che sia i medici che i soggetti conoscevano il medicinale assegnato.
Un gruppo di 20 persone ha assunto idrossiclorochina per via orale (600 mg al dì per dieci giorni). A sei di loro, che presentavano sintomi respiratori più accentuati, è stato somministrato l’antibiotico azitromicina (500 mg nelle prime ventiquattro ore, 250 mg i giorni successivi).
Gli individui che hanno rifiutato il protocollo, sommati ai pazienti di un altro ospedale non sottoposti al trattamento, sono stati inclusi in un gruppo di 16 denominato “controllo negativo”.
In fase preliminare non c’erano significative differenze tra le due coorti per quanto riguarda il sesso, le condizioni cliniche e la durata dei sintomi. La carica virale nei tamponi nasali è stata testata quotidianamente in entrambe le popolazioni. In particolare, l’obiettivo è stato valutare la presenza o l’assenza del Coronavirus al sesto giorno di terapia.
I risultati dei due gruppi sono stati significativi: in quello che aveva assunto idrossiclorochina il 70% dei test era negativo. Fra i controlli solo il 12,5%.
C’è un altro dato su cui riflettere. Paragonando la sottopopolazione a cui era stata aggiunta l’azitromicina con quella che non ne aveva beneficiato, è emersa un’importante differenza statistica: il 100% dei pazienti trattato con la combinazione antimalarico-antibiotico ha mostrato la negativizzazione del virus, rispetto al 57,1% che ha assunto solo idrossiclorochina.
Lo studio ha evidenziato che questo medicinale è associato alla riduzione o alla scomparsa della carica virale nei pazienti con COVID-19 e che il suo effetto è rinforzato dall’azitromicina. Un’altra variabile di grande interesse è la velocità con cui i medicinali fanno fatto effetto: nella maggior parte dei pazienti la negatività del tampone nasofaringeo è stata ottenuta in 3-6 giorni. Un dato suggestivo, perché secondo recenti studi cinesi gli individui affetti da SARS-CoV-2 trasmettono il virus per una durata media di 20 giorni.
Nella pubblicazione gli scienziati hanno specificato che si tratta di un lavoro con diversi punti deboli, primo su tutti il campione poco numeroso. Inoltre, sarà necessario comprendere perché l’idrossiclorochina non ha funzionato in tutti i soggetti, sequenziando il genoma virale negli individui “non responder” ed analizzando la loro capacità di metabolizzare i medicinali. Infine, andranno approfonditi i diversi effetti collaterali del farmaco.
Tuttavia il team francese, rivendicando una lunga esperienza sull’impiego dell’antimalarico, ha definito il protocollo promettente e meritevole di essere condiviso con la comunità scientifica. La motivazione è semplice: in una fase della pandemia in cui la realizzazione del vaccino è lontana, diventa fondamentale sfruttare fino in fondo le risorse a disposizione. Utilizzare farmaci dal profilo tossicologico noto, ampiamente testati sugli umani, garantirebbe una soluzione sicura e realizzabile in tempi rapidi.
Nelle ultime settimane non sono stati pubblicati ulteriori studi. Tuttavia è partita la caccia all’idrossiclorochina, complice la disponibilità sul mercato ed il prezzo economico. Ciò avrebbe creato problemi di reperibilità ai pazienti che lo utilizzano per altre patologie. Il Presidente degli Stati uniti Donald Trump si è dimostrato compiaciuto, scrivendo su Twitter che la combinazione dell’antimalarico e dell’antibiotico possiede la «chance reale di essere una delle più grandi svolte nella storia della medicina». Anche il governatore dello Stato di New York Andrew Cuomo ha deciso di investire nella doppia strategia terapeutica, acquistando oltre 800.000 dosi di clorochina per una sperimentazione che partirà in questi giorni.
È dunque prematuro giungere a conclusioni definitive, come ha spiegato a Zeta Stefano, specialista in Malattie Infettive presso l’Universita’ di Dublino UCD: «lo studio in questione è supportato dai dati in vitro, che mostrano un’efficacia del farmaco nell’impedire al virus l’ingresso nella cellula ospite, associato all’inibizione della sua replicazione. L’idrossiclorochina possiede anche un effetto immunomodulante, motivo per cui viene utilizzata nelle patologie infiammatorie autoimmuni, quali l’artrite reumatoide. Questa proprietà è molto importante nell’infezione da SARS-CoV2, perché nei casi più gravi il quadro clinico è esacerbato da un’esagerata risposta immunitaria dell’individuo. Un ulteriore vantaggio della strategia è la buona tollerabilità nel breve periodo. Tuttavia, sia l’idrossiclorochina che l’azitromicina possono prolungare il tratto QT dell’elettrocardiogramma e causare potenziali aritmie, soprattutto nei cardiopatici. Questo potrebbe essere un limite nelle persone anziane. Nel complesso il profilo di reazioni avverse e di interazioni farmacologiche è più favorevole rispetto al trattamento con lopinavir/ritonavir, un farmaco utilizzato nell’infezione da HIV, che ha mostrato efficacia contro SARS-CoV2 negli studi in vitro e su alcuni pazienti.
Il lavoro francese, sebbene promettente, presenta alcuni limiti, dovuti sia alla scarsa numerosità del campione che al disegno dello studio. Il fatto che non sia randomizzato, cioè basato sull’assegnazione casuale dei candidati all’intervento clinico, lo rende meno affidabile. Essendo stato scelto dal medico, il trattamento potrebbe essere risultato efficace perché assegnato a certi pazienti piuttosto che ad altri. Anche averlo programmato “in aperto” si rivela un criterio debole: lo sperimentatore potrebbe aver scelto di trattare i soggetti con una risposta potenzialmente migliore.
Dunque, se ci basassimo sulle evidenze scientifiche a disposizione, la combinazione di farmaci non verrebbe impiegata nella pratica clinica routinaria, in attesa di dati più attendibili.
In vari Paesi del mondo sono in corso studi randomizzati sull’idrossiclorochina. L’obiettivo è ottenere risultati favorevoli il prima possibile, necessari a chiarire il dosaggio adeguato per COVID-19. I protocolli cinese e francese hanno impiegato quantità di medicinale diverse. Attualmente non è possibile stabilire quale sia quella più adeguata ed associata a un maggior beneficio. Anche la durata della cura è incerta. Un consiglio è quello di evitare il concomitante uso di azitromicina oltre 72 ore, riducendo così il rischio di prolungare il tratto QT.
Per la mia diretta esperienza, al momento non posso fornire dati precisi sull’efficacia della terapia. Ho trattato un numero limitato di pazienti e per un periodo troppo breve».