Attenzione! Questo articolo è stato scritto più di un anno fa!
!
Esclusiva

Marzo 24 2020.
 
Ultimo aggiornamento: Marzo 28 2020
Zone rosse in Sicilia, l’isola nella morsa del virus

Sono tre le zone rosse istituite in Sicilia in meno di 24 ore: Villafrati, Salemi e Agira. E mentre i comuni vengono isolati, il numero dei contagi sale

Una Nissan verde scolorita dal sole attraversa le vie del centro di Villafrati, il paese di tremila anime a est della catena montuosa che cinge la città di Palermo. «Dovete stare a casa – gracchiano i megafoni sopra il tettuccio – da oggi non è più consentito entrare o uscire. Da questa mattina il paese è stato dichiarato zona rossa. Dopo la chiusura di Fondi, nel Lazio, e di cinque comuni campani, il lockdown investe anche Villafrati, imposto dal presidente della regione Nello Musumeci fino al 15 aprile. 

La zona rossa

Il motivo: un’esplosione di contagi dentro Villa delle palme, una delle case di riposo del paese. Sessantanove tra operatori sanitari e ospiti della struttura, undici di loro ricoverati all’ospedale Covid di Partinico. Tra questi, un morto. 

L’origine del contagio non è ancora certa. Nei giorni scorsi si era parlato di uno studente di ritorno dal nord andato alla casa di riposo per far visita a un parente, notizia non ancora verificata. «Mi sento però di dire che il contagio non sia venuto da Villafrati – racconta il sindaco Franco Agnello – I casi sono tutti all’interno della casa di riposo e se fosse stato un nostro concittadino avremo avuto anche casi in altre parti del paese, che al momento non ci sono. E’ per questo che penso che il contagio sia stato portato da fuori».

La paura è quella che si moltiplichino i casi nei comuni del circondario, poiché non tutti gli operatori della casa di cura vivono nel paese e questo potrebbe incentivare la diffusione del virus in provincia di Palermo, dove già si registrano 158 contagi. 

Geplaatst door Franco Agnello op Dinsdag 24 maart 2020

Villafrati è il terzo paese isolano in cui viene istituita una zona rossa, insieme a Agira, paese in provincia di Enna dove si registrano tre morti e nove contagii. E poi Salemi, paesino del trapanese con quindici infetti (sono quarantadue quelli in tutta la provincia).

La festa

Sembra che tutto sia iniziato da una festa di compleanno organizzata a Salemi il 5 marzo, il giorno della chiusura di università e scuole. È bastata la positività di uno solo degli invitati per far crescere il contagio nel paese di 10mila abitanti. «Sapevamo che tutto questo sarebbe arrivato. È stato improvviso, ma ce la siamo cercata». Sospira Antonio, detto Nino. «A livello di spostamenti non è cambiato molto: in giro c’è davvero poca gente, ma era così da un po’ di tempo. È sapere di essere in zona rossa che rende tutto diverso, soprattutto perché noi a questo stato non dovevamo arrivarci». Mentre le forze dell’ordine sono all’entrata del paese per controllare e vietare gli ingressi, Nino è stato tra i pochi ad uscire di casa per aprire il suo supermercato: «Io mi trovo in prima linea e sono costretto ad uscire, ma c’è gente che viene al supermercato anche tre volte». Vicino a lui si sente sua moglie Katia parlare: «Nessuno morirà di fame! La clientela si deve abituare a non uscire per comprare cose futili come la Coca-Cola, esca per comprare beni di prima necessità». La corsa ai supermercati è sempre la prima conseguenza a decreti come questo, ma Antonio e altri commercianti del paese hanno adottato un metodo per ridurre al minimo i contatti ed evitare la folla. «I clienti consegnano la lista ai dipendenti e loro si occupano di fare la spesa, mentre tutti aspettano la propria busta all’entrata principale». I due salemitani raccontano che c’è chi si lamenta perché aveva chiesto una marca piuttosto che un’altra, ma alla fine tutti capiscono i motivi di queste restrizioni e sono cooperativi. «Come in tutti paesi c’è chi rispetta le regole e chi non ha preso ancora coscienza della situazione – continua Katia – Ma oggi è solo la prima giornata, è chiaro che la gente deve abituarsi e capire cosa davvero vuol dire essere una “zona rossa”». «Ora è inutile pensare al focolaio e al paziente 0. Restiamo a casa e seguiamo le regole, solo così ce la faremo». Chiude così Nino, deve tornare al suo lavoro. 

La provincia più colpita

Sebbene non ci siano zone rosse all’attivo, la provincia di Catania è quella con il più alto numero di contagi, duecentosettantadue al computo attuale. Il primo allarme è arrivato il tre marzo, quando tre docenti della facoltà catanese di agraria cominciano a manifestare i sintomi della febbre di ritorno da una conferenza a Udine.
Uno di loro viene ricoverato e risulta positivo al tampone. L’intero reparto dell’ospedale Cannizzaro di Catania viene messo in isolamento. Per fortuna, i contagi nella facoltà di agraria si fermeranno ai tre docenti e uno studente.


Al momento, sono otto i morti nella provincia etnea. Tra questi, un operaio impiegato nello stabilimento della Pfizer, multinazionale farmaceutica americana che a Catania ha una sede da quasi 800 dipendenti, definita dall’azienda stessa come «uno dei poli produttivi d’eccellenza nel panorama farmaceutico globale». Sono tre i lavoratori contagiati, altri in attesa di riscontro. «Questo è un caso in cui l’equilibrio tra la salute dei clienti che acquistano i farmaci prodotti è quella dei lavoratori che li producono è sul filo di lana». A dirlo e Giovanni Romeo, responsabile della Filctem Cgil. «L’azienda ha messo in atto tutte le misure di sicurezza previste dal decreto della presidenza del consiglio dotando gli operai dei dispositivi di mascherine apposite e guanti e aumentando la distanza di sicurezza, riducendo anche il ritmo di produzione. La preoccupazione è forte tra i dipendenti, i quali non sempre riescono a tenere la distanza di sicurezza quando lavorano. Abbiamo paura che il contagio si espanda».

Leggi anche: Il mercato di Fondi, il cuore della zona rossa che continua a battere