«Gli italiani stanno soffrendo perché è un Paese pieno di vecchietti e lì fa più freddo che da noi. Il virus è arrivato, ce ne stiamo occupando e così come è venuto se ne andrà presto. Le nostre vite devono continuare, i nostri lavori devono proseguire, non c’è nessun motivo per chiudere le scuole. Ormai abbiamo capito che è una cosa pericolosa solo per gli ultrasessantenni, beh sì, eccetto me, che siccome sono un “ex-atleta”, non corro alcun rischio». Inizia così il messaggio alla nazione del Presidente brasiliano Jair Bolsonaro di martedì sera che alcuni commentatori si sono presto spinti a definire come “un vero e proprio suicidio politico a reti unificate”.
Nel mirino delle critiche del Capitão anche quegli amministratori o governatori locali – come i sindaci di San Paolo e Rio de Janeiro, Bruno Covas e Marcelo Crivella – che hanno optato per misure in controtendenza rispetto a quelle previste dal governo federale, decretando una quarantena all’inizio di almeno 15 giorni e ora indefinita, assieme alla chiusura delle scuole. Il governatore dello stato di Rio, Wilson Witzel ha disposto la chiusura dei limiti statali per gli ônibus de viagem, gli autobus a lunga percorrenza che sono una tradizione in un Paese enorme e con una rete ferroviaria atrofica, ma da Brasilia Bolsonaro lo ha subito redarguito.
Il sindaco di Rio, Crivella ha mandato la polizia a pattugliare l’Avenida Atlantica, il noto lungomare della città carioca e le spiagge di Copacabana e Ipanema, per evitare il ripetersi delle scene viste nelle settimane passate, con i bagnanti noncuranti della situazione a prendere il sole gomito a gomito in riva al mare. Bolsonaro, durante il suo intervento ha accusato questi politici di essere degli irresponsabili. «Quello che alcuni governatori e sindaci in Brasile stanno facendo è un crimine. Stanno distruggendo il nostro Paese» è stato il commento del Presidente.
Nonostante le migliaia di casi e il numero dei morti in crescita, il governo federale chiude solo il 23 marzo i voli provenienti dall’Europa e dall’Asia, mentre non prevede ancora nessuna particolare restrizione rispetto al resto della regione e agli Stati Uniti. Bolsonaro, lo ha ripetuto più volte, non crede che il Covid-19 rappresenti una minaccia per il sistema sanitario brasiliano, «è solo uma gripesinha, una tossicola da quattro soldi, tutta una montatura ingigantita dai media» ed è preoccupato piuttosto per le conseguenze economiche.
Nel suo intervento ha accusato il mondo dell’informazione di «raccontare fantasie e inventarsi falsità». Un leit-motiv abbastanza ricorrente, che lo lega tramite un cordone ombelicale difficile da recidere con un suo omologo, il Presidente degli Stati Uniti Donald Trump, suo modello politico di riferimento. Nada de novo, la sua avversità nei confronti dei giornalisti è infatti nota da tempo.
4 marzo, Palacio de Alvorada, Brasilia. Un capannello di giornalisti stremati, costretti dai loro rispettivi capi, attendono per ore l’arrivo del Presidente assieme ai suoi supporters più sfegatati in attesa invece, di un selfie. È stata indetta una conferenza stampa. Ordine del giorno: la discussione sulla preoccupante situazione dell’economia nazionale, con una crescita del PIL in stagnazione fissa attorno all’1%, non comune per un Paese che ha sì dei saliscendi ma ha visto anche crescite notevoli del suo Prodotto interno lordo degli ultimi anni. Bolsonaro si presenta accompagnato da un pagliaccio. Un pagliaccio vero, il comico Màrvio Lucio, vestito e truccato come lui, con tanto di fascia presidenziale e parrucca finta, e assieme, anziché rispondere alle domande della stampa, si mettono a tirare banane ai giornalisti accalcati lungo la barriera, come fossero scimmie in gabbia.
Da una settimana, verso le otto di sera per migliaia sul balcone di casa scatta un appuntamento fisso. «Fora Bolsonaro!» “Bolsonaro vattene!” è il grido che esce dalle finestre delle grandi città. Impossibilitati a scendere per strada per esprimere il loro dissenso dopo le misure restrittive alla libertà di movimento imposte dalle autorità le persone hanno trovato nuovi modi per farsi sentire. Come avveniva per i caçerolazos cileni, che si opponevano alla dittatura di Pinochet e riemersi di recente per protestare contro il governo Piñera, anche qui ci si arrangia come si può, si battono pentole e mestoli e si grida, in coro, dai palazzi. La protesta dei panelaços va avanti ormai per la sesta sera consecutiva.
«Da brasiliana posso dire che Bolsonaro non sta gestendo bene la situazione. Questo nonostante abbia un buon Ministro della Salute come Luiz Mandetta». Gina de Azevedo Marques, giornalista brasiliana, commenta così a Zeta la situazione nel suo Paese natale. «Il primo errore è sicuramente il voler mantenere l’economia aperta a tutti i costi. La seconda cosa, anche l’Italia è un Paese cattolico ma la Chiesa da voi ha deciso di comportarsi diversamente, attenendosi alle disposizioni date, lasciando fare alla Scienza il suo corso, senza porsi in antitesi. Per quanto riguarda il Brasile, e la comunità religiosa degli Evangelici, che è quella di riferimento per il Presidente Bolsonaro, non si può dire altrettanto. In generale è come se ci fosse una “distorsione religiosa” nel suo modo di governare, un non seguire delle basi e delle regole scientifiche nel prendere decisioni e provvedimenti».
Il 30 marzo Twitter ha rimosso alcuni tweet recenti del presidente Brasiliano in cui erano presenti “comportamenti e indicazioni non coerenti con le linee guida messe in pratica in tutto il mondo per contenere l’emergenza coronavirus”. In uno si vedeva Bolsonaro camminare per le strade di Brasilia, fermandosi a parlare con ambulanti e passanti: dai discorsi emergeva una difesa a spada tratta di tutte quelle persone che continuano a lavorare tutti i giorni, sostenendo che solo chi ha più di 65 anni dovrebbe rimanere a casa; nell’altro criticava per l’ennesima volta le misure di isolamento, dicendo che «il paese sarà immune quando il 60-70 per cento sarà infettato» e che esistesse già una medicina contro il coronavirus. Il social network americano aveva già provveduto in passato all’eliminazione di un tweet del presidente venezuelano Nicolas Maduro in cui si raccomandava l’utilizzo di un intruglio di erbe “efficace” contro il coronavirus. Entrambe le decisioni seguono la linea espressa con fermezza dal CEO della piattaforma, Jack Dorsey, che prevede di non assumere un atteggiamento “passivo” di fronte all’informazione che circola in rete e al dibattito politico contenuto sul social, ma assumere invece un ruolo di garante di controllo, per quanto possibile, della qualità delle informazioni che circolano nei suo spazi on-line.
«Il Brasile è un Paese di 210 milioni di abitanti, di cui circa l’80% non ha un piano di salute privato e non ha assicurazione – racconta da San Paolo Emiliano Guanella, corrispondente per RSI e La Stampa. «Secondo il Ministero della Salute ci sono circa 50 mila posti di terapia intensiva, distribuiti equamente, 25 mila nel pubblico e 25 mila nel privato». Il problema è che quei 25 mila posti dovrebbero servire l’80% della popolazione. «Se il picco dei contagi dovesse avvenire in un periodo di tempo risicato, ha detto il ministro della Salute Mandetta, l’intero sistema collasserebbe tutto. Anzi, lui ha già previsto il collasso, nel senso che lo prevedono a fine aprile. Il che sembra allarmistico, però c’è da dire che stanno facendo delle cose. Già prevedono una situazione di stress, quindi si preparano. Sono in vantaggio di un mese rispetto ad altri Paesi».
Essendo uno stato federale c’è una certa autonomia. Per cui gli Stati più popolosi come quelli di San Paolo e Rio de Janeiro si muovono. «A San Paolo per esempio sono già stati predisposti circa 2000 ulteriori posti in terapia intensiva circa 200 in uno stadio di calcio e 1800 in un ex-spazio fieristico» – aggiunge Guanella. «Si stanno preparando per tempo, mettendo le mani avanti, cose che per esempio l’Italia si è trovata a dover fare in corsa, quando già era troppo tardi, nel pieno dell’emergenza. L’Hospital das Clínicas, quello universitario della USPI di San Paolo è già quasi tutto Covid-19 cioè già pensato per essere un ospedale completamente dedicato».
Viene da chiedersi che ne pensi il popolo brasiliano di come il loro capo di Stato stia gestendo la situazione. «Oh, l’elettore che lo segue come un messia quello sì che continua a seguirlo imperterrito. Lo “zoccolo duro” quello che si informa tramite tramite Whatsapp, sicuro» aggiunge Marques. Il servizio di messaggistica, diffusissimo nel Paese è stato il vero “sistema di disinformazione di massa” anche durante le scorse elezioni presidenziali. Un sistema fatto di meme, vignette, falsità e mezze-verità diffuse in maniera virale da telefono a telefono che ha contribuito in gran parte all’elezione dell’attuale Presidente. «Questo tipo di elettorato continua a sostenerlo a spada tratta. Ma c’è una grande fetta di persone che invece è pentita del voto che ha espresso. I consensi, se li si guarda, lo vedono in calo e anche tra i politici della sua fazione iniziano i primi mormorii, c’è una famosa giurista e politica del PSL, Janaina Paschoal, se non sbaglio che ad esempio ha fatto critiche aperte al suo “ex-adorato Bolsonaro” la settimana scorsa».
Il governatore di San Paolo, João Doria, che è stato eletto sulla stessa onda che ha eletto Bolsonaro si sta pian piano defilando, presentandosi sempre di più come “opposizione responsabile”. È un politico di centro-destra ma più moderato ed è un forte candidato per le presidenziali del 2022. Come lui, vari amministratori locali hanno deciso di muoversi in controtendenza rispetto alle indicazioni di Brasilia. Questo nonostante anche nello stesso governo centrale non sia tutto da buttare.
«In realtà il ministro della Salute Mandetta ha ricevuto buoni apprezzamenti – aggiunge Guanella – anche da parte della stessa comunità scientifica. Fa una conferenza stampa al giorno, promuove l’isolamento sociale. Il problema è che si ritrova a dover dialogare con un Presidente negazionista. Lui ad esempio non ha mai criticato le misure di quarantena, mentre Bolsonaro va in opposizione anche rispetto alle indicazioni del suo stesso Ministro della Salute». Un po’ sulla falsariga del teatrino che è avvenuto costantemente nelle scorse settimane negli Stati Uniti tra l’infettivologo Anthony Fauci e il Presidente Donald Trump. «Oggi hanno anche chiesto a Mandetta se avrebbe rassegnato le sue dimissioni e lui ha detto “no, perché io qui sono un tecnico, non un politico”. Non mi inserisco nelle diatribe politiche, io faccio il mio lavoro».
A preoccupare, nel caso di un’escalation repentina, è anche l’altissima densità abitativa delle città brasiliane, che si articola in edilizia pianificata e in quella spontanea, gli enormi agglomerati delle favelas. Pochi giorni fa si è registrato il primo caso di contagio da coronavirus nella Cidade de Deus di Rio, il bairro reso famoso dal celebre film omonimo presentato a Cannes nel 2002. Dove c’è mancanza di autorità, dove lo stato è assente, le persone adottano misure spontanee. A volte è la stessa criminalità organizzata a farlo. È di poche ore fa la notizia che all’interno delle favelas di Rio come Morro dos Prazeres, Rocinha e Maré membri delle gang locali siano intervenuti imponendo un coprifuoco alla popolazione, che avvisano tramite gruppi Whatsapp o sfrecciando per le vie polverose a megafono spianato. A Santa Marta, all’ombra del Cristo redentore, sono apparsi dei cartelli che recitavano “Por favor, lave as mãos antes de entrar na favela.” Per favore, lavatevi le mani prima di entrare.
«Non possiamo minimizzare, non possiamo correre un rischio simile». Aggiunge Marques. «Bisogna rendersi conto che il sistema sanitario brasiliano non sarebbe in grado di reggere la portata di un’epidemia su vasta scala. Attenzione, non si parla della qualità dei professionisti ma della loro quantità. Il sistema sanitario pubblico da solo non reggerebbe, già non basta ora per coprire tutti. Per riuscire ad assistere tutta la popolazione si è venuto a creare tutto un sistema di sanità e di assicurazioni private, che comunque restano accessibili ad un numero limitato della popolazione. Un’epidemia delle dimensioni di quella che sta colpendo l’Italia per noi sarebbe una catastrofe».