«Quella notte alle 23, dopo la prima scossa di avvertimento, decisi di andare a dormire a casa del mio fidanzato, dove ci sorprese poi la grande scossa che distrusse tutto», così ci racconta del 6 aprile 2009 dell’Aquila Barbara Carfagna, ex studentessa universitaria molisana nel capoluogo abruzzese, oggi ingegnere civile. «Dovemmo scappare da una delle finestre di casa, in pochi attimi realizzammo che le nostre vite erano appese a un filo», continua. Erano le 3:32 del mattino quando un terremoto di magnitudo 6,3 della scala Richter devastò la città dell’Aquila, radendo al suolo il centro storico e parte della periferia con alcuni paesi della provincia. Il sisma provocò la morte di 309 cittadini, lasciando 80.000 abitanti senza casa, 1.600 dei quali riportarono gravi ferite.
Dopo 11 anni, per la prima volta, L’Aquila non ha potuto commemorare le vittime del sisma a causa delle restrizioni cautelative dovute al diffondersi del coronavirus. Per 10 anni infatti nella notte tra il 5 e il 6 aprile gli aquilani hanno sempre vegliato nelle strade della città con una commemorazione simbolica in ricordo delle vittime. Tutti i cittadini hanno però acceso una candela alle finestre di casa, restando svegli all’orario esatto della prima forte scossa di terremoto, mentre le campane della cattedrale rintoccavano 309 volte, tante quante il numero delle vittime. «Questa notte è diversa. È la notte in cui, attraverso il nostro dolore, lungo 11 anni, vogliamo dare speranza all’Italia che soffre», ha scritto in un post su Facebook il sindaco dell’Aquila Pierluigi Biondi.
«In preda al panico quella notte provai a chiamare più volte mio nipote Davide, che viveva nella Casa dello Studente, ma non ricevendo alcuna risposta capii che dovevo aspettarmi il peggio», ci racconta Antonietta Centofanti, presidente del Comitato “Vittime della Casa dello Studente”, struttura destinata all’accoglienza degli studenti universitari interamente crollata. Davide, 19 anni, era tra le otto vittime ritrovate il giorno seguente sotto le macerie. «In questi anni di attivismo ho portato la storia della Casa dello Studente agli onori della cronaca perché tutti potessero sapere, arrivando ad una conclusione processuale. Si è trattato infatti dell’unico processo giunto fino in fondo con le condanne: sono stati condannati soltanto i tecnici, ma c’è una responsabilità politica della Regione che non è stata onorata in alcun modo. La politica non ha mai pagato a L’Aquila», dice Centofanti.
«Il mio terremoto si è chiamato per molti anni “Filippo”, come il compagno di scuola di mio figlio che aveva 16 anni quando perse la vita», ci racconta con voce commossa Silvia Frezza, insegnante aquilana di scuola primaria e presidente dell’associazione “Oltre il MUSP”. I Moduli ad Uso Scolastico Provvisorio (MUSP) sono delle strutture temporanee in cui gli studenti aquilani svolgono le lezioni scolastiche dal 2009. Le scuole dell’Aquila, infatti, nonostante uno stanziamento pubblico complessivo di 45 milioni di euro, non sono mai state ricostruite, e dopo 11 anni nessuno dei 36 MUSP è stato lasciato dagli studenti. «Nessuna amministrazione comunale in 11 anni ha saputo raggiungere un risultato concreto e visibile per quanto riguarda la ricostruzione delle scuole comunali ma anche provinciali. Solamente tre scuole primarie sono state ricostruite, tutte e 3 private e cattoliche, e ancora non sappiamo il motivo oggettivo di tutto ciò», dice Frezza, aggiungendo che «tali misure hanno creato percorsi scolastici di serie A e di serie B, o addirittura dei non-percorsi per chi si ritrova costretto a fare lezione in un container». Molti studenti, infatti, in segno di protesta hanno affermato ironicamente che la P dell’acronimo MUSP che sta per “provvisorio” in realtà significa “permanente”.
Uno fra questi è Tommaso Cotellessa, 19 anni, oggi rappresentante degli studenti del Liceo Classico “Cotugno” dell’Aquila. «Avevo 9 anni quella notte. Per un bambino non faceva male il crollo delle case e delle mura, ma quello degli adulti, dei genitori, delle maestre e delle figure istituzionali. Era un crollo umano», racconta Tommaso, che negli ultimi 3 anni è diventato il simbolo della protesta degli studenti aquilani per tornare a fare lezione in aule scolastiche decorose, abbandonando una volta per sempre i MUSP, che lui stesso definisce “container di lusso”. «Quando il presidente della Repubblica Mattarella è venuto a inaugurare l’anno scolastico a L’Aquila lo ha fatto in un MUSP: è stato assurdo. Nell’aprile 2009 ci dissero che per ricostruire le scuole avrebbero impiegato 10 anni, e dopo 11 siamo ancora qui a sperare che non ce ne vogliano ancora molti», racconta Tommaso, che quest’anno dovrà affrontare l’esame di maturità. «Sogno di restare a studiare Filosofia qui a L’Aquila, non posso abbandonarla come hanno già fatto in tanti. Se penso a una parola per il futuro mi viene in mente “speranza”, ma quanto coraggio ancora ci serve per metterla in pratica…», ci dice sorridendo prima di salutarci al telefono.