Attenzione! Questo articolo è stato scritto più di un anno fa!
!
Esclusiva

Aprile 9 2020
Il mito del virus come “grande livellatore”

Il virus negli Stati Uniti sta esacerbando le questioni irrisolte nel Paese. Ne abbiamo parlato con Arianna Farinelli, professoressa di Scienze Politiche presso il Baruch College della City University di New York

In una delle sue recenti conferenze stampa, il Governatore dello Stato di New York, Andrew Cuomo, ha affermato: «questo virus è il grande livellatore (“the great equalizer”), tutti possono prenderlo». 

Questo è vero, in teoria. Tutti gli americani – indipendentemente dalla razza, dal sesso o dalla religione – alla fine di questa pandemia conosceranno qualcuno che si è ammalato, e in alcuni casi è morto, di coronavirus. Questo è vero soprattutto nella città epicentro del contagio negli Stati Uniti: New York City, che all’8 aprile conta circa 80mila casi confermati di Coronavirus e 4.000 morti su una popolazione di 9 milioni di persone. Tuttavia, alcune ricerche sembrano evidenziare come coloro che svolgono i lavori più umili e non possono far a meno di uscire per recarsi a lavoro e le minoranze etniche, siano invece i più colpiti dal coronavirus. 

Abbiamo parlato con Arianna Farinelli, scrittrice e professoressa di Scienze Politiche al Baruch College della City University di New York, città in cui vive da ormai 20 anni.  

Con voce pacata, durante la nostra conversazione telefonica, inizia raccontandoci della drammatica situazione in cui versa New York: «Mi sembra di rivedere la stessa scena, la stessa emergenza, le stesse misure da parte dei politici che ho visto in Italia 3 settimane fa. Noi siamo 3 settimane più indietro rispetto a quello che sta accadendo in Italia. Purtroppo il governo americano ha pensato, e lo stesso governatore Cuomo lo ha ammesso, che questo fosse un problema italiano» dice la professoressa.

 «In realtà un anno fa alcuni scienziati americani avevano inviato alla Casa Bianca un rapporto molto dettagliato nel quale si diceva che in caso di pandemia questo Paese non era affatto pronto e specialmente nel caso di un virus che colpisce le vie respiratorie. Proprio perché nel Paese abbiamo circa 100.000 respiratori e 100.000 posti letto in terapia intensiva per una popolazione di 327 milioni di persone. La Casa Bianca un anno fa ha ignorato tutto questo. E ha fatto lo stesso un mese fa quando in Italia le cose si erano già messe molto male».

Una sottovalutazione del pericolo che viene spesso rinfacciata all’amministrazione Trump, che, quando i contagi hanno iniziato a diffondersi negli USA, ha continuato a minimizzare a lungo il problema. Frasi come: «Il virus sparirà un giorno come per miracolo» o «Tutti quelli che hanno bisogno di un test lo avranno. Abbiamo i test e sono bellissimi!» sono in palese contrasto con la realtà, visto che il personale sanitario americano sta fortemente risentendo della carenza di test e che si è aperta una grave disparità nella nazione fra i ricchi, che riescono in qualche modo a procurarseli, e gli altri che invece non ci riescono. Le parole dei mesi scorsi di Trump hanno gettato gli americani nell’incertezza e, proprio per questo motivo, essi hanno iniziato a guardare con crescente favore alle conferenze stampa giornaliere sul coronavirus del Governatore di New York.  

«Cuomo è stato ribattezzato il fidanzato d’America» – dice ridendo la professoressa Farinelli- «Io sono meno suscettibile a questi quadretti familiari, però il fatto di sdrammatizzare, di parlare con il fratello in conferenza stampa, devo dire che qui piace moltissimo. È un modo di fare che alla gente piace e che fa sentire il Governatore molto vicino». Il riferimento è al fratello di Cuomo, Chris, anchorman della CNN, risultato positivo al coronavirus e ora in isolamento nel seminterrato di casa sua, che alle volte ha partecipato in collegamento ai briefing del governatore, raccontando della sua lotta contro il virus. «I Cuomo sono molto bravi a farti sentire quasi parte della loro famiglia» aggiunge la professoressa, che continua: «Poi c’è anche l’aspetto decisionista, ovvero quello di sferzare Trump senza mai però attaccarlo direttamente». 

In una delle sue conferenze stampa e in un tweet, il Governatore dello Stato di New York ha affermato che questo virus è il grande livellatore. Il problema è che, le varie categorie sociali e le varie minoranze etniche che compongono la variegata società americana non hanno tutte la stessa probabilità di ammalarsi.

Come spiegato da Ibram X. Kendi in un pezzo per The Atlantic, infatti, le persone di colore hanno il 46% di probabilità di ammalarsi di coronavirus mentre i latinos il 39%, ovvero il doppio rispetto ai bianchi con il 21%. Inoltre, nell’articolo, viene evidenziato come i neri nello Stato del Michigan rappresentino il 14% della popolazione ma un assurdo 40% delle morti per coronavirus nello stesso Stato. Allo stesso modo nel Nord Carolina, nella contea di Mecklenburg, le persone di colore rappresentano il 32,9% dei residenti ma il 43,9% dei casi confermati di coronavirus stando alle statistiche datate 30 marzo. Stesso trend per la contea di Milwaukee nel Winsconsin, dove il 7 aprile si sono svolte le primarie democratiche e, nonostante l’emergenza coronavirus, la cittadinanza si è recata a votare. A Milwaukee gli americani di colore rappresentano il 26% della popolazione della contea ma sono circa la metà dei positivi al coronavirus.

Secondo la professoressa Farinelli anche nella città di New York si assiste alla stessa tendenza: «ci sono molti più contagi e molti più morti nei quartieri più poveri perché molte di queste persone lavorano nei servizi essenziali: guidano gli autobus, le metropolitane, fanno i postini, lavorano nella distribuzione alimentare. Queste persone devono andare a lavorare, devono prendere i mezzi pubblici, quindi sono più esposte ed è per questo che il contagio è maggiore».

Un’altra delle fratture più evidenti che percorrono l’America in questo periodo è la differenza di approccio tra Governatori democratici e repubblicani all’epidemia. La professoressa Farinelli ha qualche caso da potare in esempio: «il governatore della Georgia in una conferenza stampa ha affermato di non sapere che il coronavirus si potesse diffondere anche in maniera asintomatica. Quindi la Georgia, ha adottato la misura del distanziamento sociale e dello “state a casa il più possibile”, soltanto negli ultimi due giorni. Il governatore della Florida, Ron DeSantis, invece, ha dichiarato lo stato di emergenza e ha chiuso le spiagge della Florida solo una settimana fa. Tardissimo!».

In quest’ultimo caso, in particolare, la decisione dello Stato di lasciare le spiagge aperte così a lungo ha fatto sì che orde di giovani universitari si riversassero sulle belle spiagge della Florida per il loro spring break (le vacanze primaverili), incuranti del fatto che il loro comportamento potesse mettere in pericolo la salute di altri, magari proprio di uno dei 30 milioni di americani che non hanno l’assistenza sanitaria.

Inoltre, il sito d’informazione Vox, in un articolo che analizza i sondaggi condotti da NBC News e dal Wall Street Journal, afferma che la percezione del pericolo del coronavirus in America si divide lungo linee partitiche. I sondaggi mostrano come il 68% dei democratici è preoccupato che qualcuno nella propria famiglia possa prendere il coronavirus a fronte del 40% dei repubblicani e del 45% degli indipendenti. Inoltre, sempre secondo i sondaggi, i democratici, in una percentuale del 56%, credono che le loro vite subiranno un cambiamento significativo a causa del coronavirus in futuro, a fronte di un esiguo 26% per i repubblicani.

Questa differenza di percezione è spiegata, secondo Vox, dai diversi mezzi di informazione da cui democratici e repubblicani traggono informazioni sul coronavirus. Persone con visioni politiche diverse consumeranno molto probabilmente diversi tipi di media, da cui trarranno diversi tipi di informazioni e conclusioni.

Infine, in uno Stato basato sulla difesa delle prerogative dell’individuo dall’ingerenza statale, come gli Stati Uniti, in cui sia a livello Statale che individuale l’ingerenza del governo federale non viene vista di buon occhio, sorge spontaneo chiedersi come gli americani stiano vivendo la limitazione della loro libertà di movimento negli Stati in cui è consigliato di non uscire di casa, come New York: «È una cosa del tutto inedita» risponde la Farinelli. «Quando è stato dell’11 settembre abbiamo continuato a lavorare e le scuole non sono state chiuse neppure un giorno. Quindi bisogna vedere quali saranno le conseguenze nel futuro. Adesso sappiamo che lo stato può limitare la nostra libertà». 

Dunque è quanto mai inappropriato chiamare questo virus “il grande livellatore”. Semmai la pandemia sta portando in superficie alcune questioni irrisolte degli Stati Uniti: il ruolo delle cosiddette “minoranze” all’interno del Paese (che presto non saranno più tali, visto che la percentuale di bianchi sta già diminuendo da alcuni decenni), il rapporto degli americani e dei singoli Stati con il governo federale, la spaccatura fra l’America profonda conservatrice e le città della costa progressiste.