«In questo tempo, nel quale si incomincia ad avere disposizioni per uscire dalla quarantena, preghiamo il Signore perché dia a tutti noi la grazia della prudenza e dell’obbedienza alle disposizioni, perché la pandemia non torni»: con questo tweet chiaro e diretto Papa Francesco ha riportato ordine nello scontro che si sta consumando tra la CEI (Conferenza Episcopale Italiana) e il governo italiano guidato dal premier Giuseppe Conte. Secondo l’ultimo decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri riguardante le nuove misure di contrasto alla diffusione del coronavirus, tra le lenti e graduali riaperture non compare l’autorizzazione a tornare a celebrare le messe nelle chiese cattoliche di tutto il territorio italiano. Ciò ha fatto sollevare la “delusione” della CEI che in un comunicato fatto circolare poco tempo dopo la conferenza stampa di Conte ha espresso preoccupazione per quanto accaduto, dichiarando che «i vescovi italiani non possono accettare di vedere compromesso l’esercizio della libertà di culto».
Quanto però affermato da Francesco nella consueta messa mattutina da Santa Marta, seguita ogni giorno da più di un milione e mezzo di telespettatori, ha rimesso tutto in discussione, facendo tornare la Chiesa cattolica italiana nella divisione di posizioni che il comunicato della CEI sembrava aver riunificato con toni gravi. «È inesatto dire che il Papa abbia sconfessato la CEI, ma alla luce di quanto accaduto probabilmente Francesco si è reso conto che una linea troppo dura e pretenziosa da parte dei vescovi italiani potrebbe risultare in un ritorno indietro ad anni in cui tra Chiesa e Stato esistevano toni che lui stesso non avrebbe approvato», dice a Zeta Paolo Rodari, vaticanista del quotidiano La Repubblica e scrittore, spiegando come i rapporti tra i vescovi italiani e i governi siano cambiati negli anni verso una maggiore e reciproca autonomia. «Francesco vuole invitare alla prudenza rispetto all’alzare barricate che non appartengono più al presente e a ciò che deve rimanere distinto tra sfera religiosa e sfera politica. Potremmo intuire che il recente pressing della CEI sia dettato dal fatto che molti vescovi italiani ritengono ingiusto il divieto a celebrare messe, e per questo la presidenza se n’è dovuta fare carico», prosegue Rodari.
La spaccatura sul divieto di celebrare messe resta però più aperta che mai all’interno della Chiesa cattolica. Un parroco di una nota chiesa del quartiere tuscolano di Roma – che è voluto restare anonimo – ci scrive che «la nostra parrocchia che ha 400 posti a sedere può garantire la partecipazione alla messa ad almeno 80 persone in totale sicurezza, garantendo la distanza, l’uso delle mascherine, la Comunione offerta al posto tra i banchi. In più ci impegneremmo a disinfettare l’ambiente dopo ogni celebrazione con strumenti e macchine che permettono di purificare gli spazi, diminuendo anche il numero delle messe settimanali». Come il parroco in questione sarebbero in molti preti ad aver espresso ai vescovi italiani un diffuso malcontento, così come i numerosi fedeli laici che nelle scorse settimane hanno inondato i social di appelli alla CEI e al governo.
Tutto ciò però non ha convinto il comitato tecnico-scientifico di Palazzo Chigi, che ha espresso “criticità ineliminabili” circa la pericolosità dello spostamento degli anziani da un luogo all’altro della città e soprattutto l’alto rischio di infezione da coronavirus in spazi chiusi come le chiese, in cui più persone andrebbero a interagire fisicamente tra loro favorendone una più facile diffusione. A questo si aggiunge anche il nodo del trattamento equo per i musulmani residenti in Italia: a una eventuale riapertura delle messe dovrebbe corrispondere anche la facoltà di riunirsi il venerdì per i musulmani, che però non sono dotati di spazi adeguati come i cattolici. La celebrazione canonica del Ramadan inoltre favorirebbe ancor di più la diffusione del coronavirus, dato che prevede il riunirsi dei fedeli in cene comuni dopo il tramonto. Le prudenze del comitato tecnico-scientifico dunque non andrebbero considerate come un attacco ideologico nei confronti dei cattolici italiani, ma guardate in maniera più ampia e comprensiva senza tralasciare altre problematiche.
«L’atteggiamento della CEI è stato piccato, con toni che non si erano mai visti sotto la presidenza moderata del Cardinale Bassetti. Indubbiamente si è alzata l’asticella della discussione. Il Papa si è smarcato da un dibattito politico: quella della CEI a molti è apparsa come una mossa politica, per rivendicare una posizione e una presenza nel paese in nome dell’impegno sociale» ci dice invece Salvatore Cernuzio, vaticanista di Vatican Insider, portale web del quotidiano La Stampa. Secondo altri, tali toni invece sarebbero stati dettati dal fatto che a breve la CEI destinerà 150 milioni di euro a tutte le diocesi italiane, da spendere esclusivamente per famiglie in difficoltà e poveri. Trattandosi di opere di carità per italiani che aspettavano anche aiuti dal governo, la CEI avrebbe sperato in un trattamento diverso anche per quanto riguarda la riapertura alla celebrazione delle messe. Presto comunque saranno resi noti i nuovi provvedimenti: del resto, come affermato da Cernuzio, «dopo toni così forti ci dobbiamo aspettare una situazione di compromesso fra le parti».