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Esclusiva

Maggio 8 2020
Le voci dell’insegnamento: “La carriera scolastica, tortuosa come un GP di Formula 1”

Con piattaforme informatiche e lezioni online, le scuole e le università non si fermano. Le difficoltà per accedere al mondo dell’insegnamento però sono ancora tante.

“La didattica è sempre stata l’ultima ruota del carro. Si dovrebbe scommettere di più sulla figura del docente come guida morale e bussola per gli studenti e non considerarlo come parte di una categoria di serie B. I giovani hanno sempre bisogno della figura di un educatore e nessuno meglio di un insegnante può conoscere l’uomo e valorizzarlo”.
A parlare è Armando, 29 anni. Laureato in Lettere Classiche, l’insegnante leccese lavora da un anno e mezzo come precario: “Oggi insegno italiano e latino a Trento. Ho esercitato per la prima volta la mia professione ad Ottobre 2018 a Novara, nel Liceo delle Scienze Umane. Nella mia regione non sono mai riuscito ad avere un’opportunità, grande problema del sud della penisola”.

Ogni anno in Italia gli aspiranti insegnanti devono confrontarsi con nuovi decreti e normative che stravolgono le regole valide fino a poco tempo prima. La pandemia ha però portato dei cambiamenti. Era dal 2014 che non veniva offerto ai giovani la possibilità di accedere al mondo dell’insegnamento.
Il 30 Aprile è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale il bando per un concorso straordinario all’abilitazione, rivolto a coloro che hanno conseguito almeno tre annualità di servizio.

“Intraprendere una carriera scolastica qui è un percorso lungo e tortuoso che mi ricorda il circuito di un Gran Premio della Formula 1. Sono pochi gli investimenti, troppi i tagli. I precari fanno comodo allo Stato perché guadagnano poco e sono più manipolabili. Rispetto ad altri paesi d’Europa qui ci sono troppe parole e pochi fatti. Non si è ancora compresa l’importanza della scuola come cuore pulsante della società e strumento che ci consente di approfondire quel patrimonio culturale italiano che tutto il mondo ci invidia“.

L’età media dei professori è tra le più alte nel Vecchio Continente. Anche il premier Giuseppe Conte ha parlato della classe docente come la più anziana d’Europa.
Secondo gli ultimi dati Eurostat, il 53% dei nostri insegnanti è over 50, mentre il 17% ha più di 60 anni. Altrettanto basso è il profilo dei salari: in media, i docenti italiani percepiscono 30mila euro lordi all’anno, in confronto a paesi quali Olanda o Germania dove lo stipendio raddoppia. Tuttavia la situazione critica del coronavirus potrebbe far cambiare le carte in tavola.

 “Siamo in un periodo di ricambio favorevole alle nuove generazioni. Questa situazione ha forse fatto capire al governo che qualcosa non andava. La didattica a distanza ci ha aiutato ad affrontare l’emergenza, ma rendere tutto digitale non è positivo. Sicuramente noi docenti abbiamo imparato ad adoperare nuovi strumenti che stanno diventando sempre più il nostro pane quotidiano, ma la scuola è soprattutto un luogo di incontro e coesione. Ci vorrà del tempo per tornare alla normalità e bisogna fare appello alla volontà e responsabilità degli alunni e degli insegnanti che dovranno recuperare ciò che è andato perduto in questi mesi. Il futuro dipenderà dalle scelte politiche che verranno fatte ma a mio parere si dovrebbe puntare l’attenzione non sulla differenza tra docente precario o di ruolo ma sulla qualità della didattica, grande punto debole italiano” conclude l’insegnante leccese.

Pareri concordanti sono quello di Venera, clarinettista di origine siciliana diplomata in conservatorio nel 2010 ma trasferitasi al nord per lavoro e quello di Luisa, insegnante di italiano e latino a Catania.

La giovane musicista riveste dal 2013 un ruolo precario e da 2 anni lavora come insegnante di musica in un istituto superiore di secondo grado in provincia di Milano.

“Nelle scuole italiane tante cose non vanno, a partire dalle cosiddette classi pollaio con più di 25 studenti in una stessa aula. Nel nostro paese siamo vittime della troppa burocrazia. C’è chi è andato in pensione senza mai essere stato assunto a tempo determinato, svolgendo lo stesso carico di lavoro di un docente ordinario e questo non è giusto. Io definisco il mese di settembre come il Welcome to the Jungle del precariato, perché si spera di essere convocati da qualche scuola e chi ha la fortuna di essere chiamato per primo vince il posto”.

In via di sviluppo è l’aspetto tecnologico, con un incentivo alla digitalizzazione dei materiali scolastici.
“In Italia siamo indietro sotto tanti punti di vista, soprattutto nella multimedialità. Ad oggi, ho solo mezz’ora per fare lezione con i miei studenti via streaming. Non eravamo pronti a questo e non abbiamo mai ricevuto chiare direttive da nessuno. Le situazioni di emergenza però portano spesso dei cambiamenti: una volta una scuola mi ha contattata pregando di accettare una cattedra rimasta vuota in periodo di crisi. Allo stesso modo credo si aprirà uno scenario simile nel post-covid 19” conclude Venera.

Anche nei momenti più complicati, l’insegnamento non si ferma mai, ma le differenze con la didattica in presenza sono nette. Il coronavirus ha inciso molto sulla mia situazione da precaria perché la scuola tende a riconoscerti sempre meno benché il carico lavorativo sia notevolmente aumentato. Adesso lavoriamo senza orari e l’apprendimento degli studenti ne risente molto. In futuro ci sarà sicuramente un aumento dell’utilizzo dei mezzi informatici, ma per tutto il resto credo invece che si ritornerà alla realtà precedente” spiega Luisa.

Delle difficoltà nel perseguire una carriera scolastica ne parla anche il professor Coco, docente di ruolo di Scienze Motorie presso il Liceo Scientifico Principe Umberto di Savoia a Catania: “In Italia si crede poco nei giovani. Ci si approfitta dei precari perché sono meno garantiti e vengono pagati di meno. Nella fase post-pandemia non vedo margini di miglioramento. Ritengo che la crisi economica si rifletterà su tutti allo stesso modo e il nostro paese, con il più basso indice di natalità, sarà il più colpito. Si deve investire di più nella scuola, sapendo che non potrà più essere quella di prima, pensare il contrario sarebbe un errore fatale”.

Ancor più complicato è per chi non ha mai avuto la possibilità di approcciarsi al mondo dell’insegnamento, nonostante i titoli acquisiti. Ne parla Andrea D’Aversa, laureato presso l’UniSalento a Lecce con 110 e lode: “Ho 35 anni, cerco lavoro da agosto 2017 e nonostante io mi sia trasferito a Milano da mia sorella alla ricerca di fortuna, nemmeno qui ho avuto opportunità. Il sistema scolastico è mal organizzato e non credo che il coronavirus possa aver peggiorato qualcosa che già di per sé non ha mai funzionato. Ogni anno si parla di tante cattedre vacanti, ma stranamente i ragazzi che poi le ricoprono non sono mai in pari numero con esse. Un anno fa un collega mi informò di una cattedra libera in geografia, io feci domanda ma il posto venne assegnato ad un ragazzo che insegnava già italiano in quella scuola. Per migliorare oggi abbiamo bisogno di nuove riforme. Non credo che quando torneremo alla normalità il mondo sarà poi così diverso. Si, adesso è uscito un nuovo concorso per gli aspiranti insegnanti, ma i posti a disposizione sono pochi rispetto alla richiesta di occupazione, così come è sempre stato”.