Secondo il report dell’INAIL, Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro, durante la pandemia sono stati 37.352 i contagiati da Covid19 nel settore sanitario, i più colpiti sono gli infermieri. In prima linea contro il virus, storie di donne e uomini che hanno deciso di dedicare la propria vita agli altri #giornatainternazionaledegliinfermieri
“Ricorderò questi mesi per tutta la vita ma soprattutto non dimenticherò il paziente del letto 2, un nonno preoccupato di non rivedere più i suoi nipoti. Preferisco morire piuttosto che continuare a soffrire ripeteva ogni giorno, ma noi gli siamo stati vicini e lo abbiamo incoraggiato fino a quando ce l’ha fatta”.
A parlare è Giuseppe, infermiere campano di 38 anni, che lavora come precario dal 2013 ed è stato impegnato fino al 4 maggio nell’ex reparto Covid presso l’Azienda Ospedaliera San Camillo-Forlanini a Roma.
“Quest’esperienza è stata emozionante e formativa sotto ogni punto di vista. Abbiamo superato la paura del contagio e con coraggio ne siamo usciti vincitori. Abbiamo lavorato in delle condizioni difficili e mai vissute prima d’ora. Ci hanno fornito il minimo indispensabile per proteggerci, camici, mascherine, visiere. Non respiravamo bene e portavamo degli occhiali che si appannavano continuamente.
Ho avuto a che fare con pazienti di tutte le età e la soddisfazione più grande è stata vederli guarire uno per volta e sapere che sei stato il loro angelo. Ci hanno chiamato eroi in questo periodo, ma la verità è che lo siamo tutti i giorni, perché il nostro lavoro è una missione, non si fa per soldi”.
Il settore
infermieristico in Italia è molto apprezzato ma il problema è lo scarso numero
di occupati. L’Italia ha meno infermieri che dottori, il 70% dei quali lavorano
in strutture pubbliche.
Secondo la “Federazione Nazionale degli Ordini delle Professioni Infermieristiche”,
nel 2006 la carenza ammontava a circa 60 mila, per una mancanza di copertura
dei posti di lavoro pari al 15%. Per queste ragioni, l’università italiana ha
incrementato la capacità dei corsi nel campo paramedico, ma le domande di
ammissione rimangono più alte del lavoro disponibile, soprattutto al Sud.
“Da quando mi sono laureato nel 2012, ho lavorato a Milano e poi per 3 anni sono stato dipendente della struttura Santa Lucia di Roma. Secondo il decreto dignità stabilito dal governo, un’azienda dopo 24 mesi ti dovrebbe assumere ma non succede mai. Conclusi i due anni e mezzo di precariato non contiguo, mi hanno mandato a casa. L’anno scorso ho partecipato al concorso aperto dall’Ospedale Sant’Andrea nella capitale e sono risultato idoneo in graduatoria. Hanno assunto i primi 1400 vincitori a tempo indeterminato. In seguito, a fronte dell’emergenza Covid, hanno chiamato alcuni di noi con un contratto valido solo 12 mesi. Questo è vergognoso. Ci hanno sfruttato, abbiamo rischiato la vita per poi ritrovarci ancora una volta senza certezze. Siamo indispensabili solo quando vogliono loro” dice Giuseppe.
A sostegno della professione, su Facebook c’è la pagina “Movimento Permanente Infermieri” in difesa del lavoro a tempo indeterminato, della corretta gestione delle graduatorie di concorso e della salute pubblica.
“Le nostre figure sono molto ricercate in Europa, soprattutto in Germania, Francia e Regno Unito, perché abbiamo una formazione completa su tutti i campi rispetto ad altri paesi nei quali esistono gli stessi corsi di laurea ma con programmi più ridotti e meno approfonditi. Il nostro governo sa quanto valiamo ma non ci offre incentivi. Credo però che nel post-pandemia qualcosa possa cambiare, perché sappiamo di aver dimostrato che la società ha bisogno di noi più di quanto si potesse mai immaginare”.
Altre storie raccontate dalla redazione di Zeta:
“Noi infermieri non possiamo avere paura” – di Michele Antonelli
Piccole infermiere crescono – di Jacopo Vergari
Non siamo eroi, siamo infermieri – di Claudia Chieppa