Attenzione! Questo articolo è stato scritto più di un anno fa!
!
Esclusiva

Maggio 12 2020.
 
Ultimo aggiornamento: Maggio 15 2020
“Noi infermieri non possiamo avere paura”

Affrontare l’emergenza in ambulanza. La testimonianza di Alessandra, infermiera in prima linea

Secondo il report dell’INAIL, Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro, durante la pandemia sono stati 37.352 i contagiati da Covid19 nel settore sanitario, i più colpiti sono gli infermieri. In prima linea contro il virus, storie di donne e uomini che hanno deciso di dedicare la propria vita agli altri #giornatainternazionaledegliinfermieri


«Arriva la chiamata della centrale operativa di Latina. Dicono di prenderci il tempo che serve e di vestirci per bene. Ci sono due casi sospetti di Covid-19, moglie e marito. Dobbiamo andare». Infermiera, 36 anni, Alessandra lavora in ambulanza dal 2012 e vive a Fondi, città del Lazio toccata più di altre dal virus. La “sua” emergenza è iniziata con uno squillo di cellulare.

Da qualche anno, prestando servizio per un’azienda privata di pronto soccorso, ha imparato a fare i conti con l’imprevisto. «Come tanti, all’inizio non ho dato troppo peso alle notizie. Poi, scattato l’allarme in Lombardia, mi sono preoccupata. Erano stati predisposti dei corsi formativi per affrontare l’emergenza ma non c’è stato il tempo materiale. Io e i miei colleghi non abbiamo potuto far altro che “autoistruirci” con video e informazioni diffuse online».

A Fondi, tutto è cominciato nei primi giorni di marzo. «Una sera abbiamo portato un uomo in pronto soccorso per una crisi ansiosa. Doveva essere un intervento come tanti. È partito l’incubo. All’arrivo, l’infermiere del triage era preoccupato. Avevamo già la mascherina e ci hanno comunicato la presenza di un paziente sospetto, che ho visto solo da lontano, con difficoltà respiratorie e febbre». 

Il giorno dopo la conferma. Si trattava del primo caso di Covid-19 in città. «I colleghi che lo avevano portato in ospedale sono stati messi subito in quarantena, provando a ricostruire gli ultimi contatti. Sono iniziati i dubbi. Ho pensato a mio marito, ai miei due bambini e ai miei genitori».

Tra turni massacranti, nottate insonni e poco tempo per tirare il fiato prima di correre di nuovo in soccorso di chi ne aveva bisogno, la sua città ha vissuto in poche settimane  l’impensabile. Con la crescita del numero dei casi, l’ordinanza regionale del 19 marzo ha istituito la “zona rossa”. «Alcuni colleghi erano in malattia, altri in quarantena. Nonostante l’abitudine a orari complicati, i primi giorni sono stati davvero duri da affrontare».

Infermieri
Alessandra al lavoro con un collega durante l’emergenza Coronavirus

Dopo qualche tentennamento, i brutti pensieri sono stati scacciati dalla forza del dovere e dal senso di responsabilità. «Arrivata a casa di due anziani, guardando i loro occhi ho capito che non poteva esserci spazio per la paura. Almeno non in quel momento. Quelle persone avevano bisogno di noi e del nostro aiuto. Protetti da guanti e mascherine li abbiamo fatti sedere in ambulanza cercando qualche parola di conforto per tranquillizzarli». 

Il lockdown ha pian piano stabilizzato la situazione, favorendo un graduale ritorno alla normalità. «Con la Fase 2 la situazione migliora e siamo tornati a fare interventi “di routine”, non legati al virus. Adesso indossiamo la tenuta da guerra (ride, ndr) solo nei casi di pazienti con difficoltà respiratorie e c’è meno tensione nelle nostre giornate».

Alessandra ama fare il suo lavoro e aiutare gli altri. La gente lo apprezza e ogni tanto arriva qualche sorpresa che riscalda il cuore. «Soprattutto in questo periodo, sono in tanti a ringraziare me e i miei colleghi. Vicini di casa, amici, sconosciuti. Qualche giorno fa ho ricevuto dal nulla la chiamata della mia parrucchiera. Mi ha promesso uno dei primi appuntamenti della riapertura come segno di riconoscenza. Mi sono commossa, fa piacere sapere che qualcuno apprezzi ciò che fai». 

Altre storie raccontate dalla redazione di Zeta:
Le parole degli infermieri: “Il nostro lavoro è una missione” – di Laura Miraglia
Piccole infermiere crescono – di Jacopo Vergari
Non siamo eroi,siamo infermieri – di Claudia Chieppa