«Uscivamo da una dittatura durata più di vent’anni, che aveva portato alla cancellazione di tutti i diritti civili, e da una guerra rovinosa […]. Gli esponenti dei diversi partiti avevano ben vivo il ricordo del conflitto bellico, delle sofferenze e dei lutti e in tutti c’era un’ansia di fare bene che andava al di là delle differenze politiche e che li univa nell’affermazione di alcuni valori fondamentali». Questo il clima che si respirava nell’Assemblea Costituente secondo Teresa Mattei, la più giovane degli eletti con i suoi 25 anni.
Iscritta al Partito Comunista e ideatrice della mimosa per l’8 marzo, Chicchi (questo il suo nome di battaglia) si rese protagonista della resistenza in Toscana, quando da giovanissima era stata comandante di compagnia di una brigata garibaldina del Fronte della Gioventù. Non sembra essere un ruolo casuale: Teresita era nata a Quarto, in Liguria, da dove il 5 maggio 1860 partirono i Mille per riunire l’Italia. Un compito che a lei stessa toccherà meno di cent’anni più tardi, da deputata Costituente.
Laureata in Filosofia sotto la guida di Giovanni Gentile, fu tra i protagonisti dell’agguato all’ideologo fascista, crivellato di colpi fuori dalla sua villa fiorentina il 15 aprile 1944. Sull’omicidio dell’anziano maestro ritornerà in più interviste nel corso degli anni. Nel 2004, nella testimonianza resa ad Antonio Carioti del Corriere della Sera, racconta: «Conoscevo Gentile perché ero studentessa di filosofia. Per fare in modo che i gappisti incaricati dell’agguato potessero riconoscerlo, alcuni giorni prima li accompagnai presso l’Accademia d’Italia della Rsi, che lui dirigeva. Mentre usciva lo indicai ai partigiani, poi lui mi scorse e mi salutò. Provai un terribile imbarazzo». Nonostante ciò, l’ex partigiana ha sempre difeso la sua scelta: «[Era un] filosofo nettamente superiore a Croce, a casa sua c’era sempre un piatto di minestra per chiunque. [Ma] in guerra la vita umana perde valore. […] Assistevamo ogni giorno a crimini orrendi che ci avevano induriti. Ci sono momenti, nella storia, che non ammettono mezze misure».
Dopo l’esperienza partigiana, Teresita fu eletta nella Costituente, diventando una delle poche Madri della Repubblica. Il compito è dei più ardui: ricucire un Paese dilaniato dalla guerra mondiale e civile che lo aveva travolto per cinque lunghi anni, un Paese che aveva appena scelto di emanciparsi dal suo re. Una vera e propria rivoluzione storica per una democrazia giovane e acerba come l’Italia, dove le donne avevano iniziato a votare per la prima volta proprio in occasione del referendum del 2-3 giugno.
Da parte sua, Teresita si spese per i diritti collettivi e la tutela di giovani e bambini, oltre che su questioni etiche e sociali. L’articolo 3 della Carta fu quello su cui concentrò maggiormente i suoi sforzi, non senza rimpianti. In un’intervista ad Athenet del 2005, dichiarò a riguardo: «Quell’articolo afferma che tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, razza, lingua, religione, opinioni politiche e condizioni personali e sociali, ma non cita l’età. Si tratta di una dimenticanza grave, che spesso induce a pensare che i bambini e i giovani non siano veri e propri cittadini». Un problema più volte ripreso sia dalla Mattei, sia dai governi italiani, che in tempi recenti hanno ragionato sull’allargamento del diritto di voto ai sedicenni.
La lotta per i suoi ideali la portò a scontrarsi ripetutamente con l’allora leader del Pci, Palmiro Togliatti. La prima occasione fu quando il segretario comunista la obbligò a votare per l’inclusione in Costituzione dei Patti Lateranensi, la seconda quando “il Migliore” voleva spingerla ad abortire, lei che era rimasta incinta e voleva essere ragazza madre. Grazie al matrimonio all’estero con il suo amore storico, Bruno Sanguinetti, riuscì a tenere suo figlio, che nascerà nel 1948. Il terzo episodio segnò il punto di rottura nella carriera politica di Teresa Mattei, che pagò con l’espulsione la sua ferma opposizione alla linea stalinista del suo partito.
Un’opposizione che rivendicherà sempre con orgoglio: «La situazione peggiorò finché non fui radiata nel 1955, prima dei fatti di Ungheria, con una motivazione che mi rende onore. A quel tempo, infatti, la formula utilizzata per questo tipo di provvedimenti era quella stalinista dell’indegnità politica e morale. Allora, io minacciai di portare Togliatti in tribunale e di nominare come difensore il mio maestro Calamandrei. Di fronte alla mia fermezza, il Pci fu costretto a fare marcia indietro e a motivare la radiazione con la formula, usata per la prima volta, del “dissenso politico”».
Dopo il suo ritiro dal Parlamento, la “maledetta anarchica” (così la ribattezzò Togliatti) dedicò il resto della sua vita ai diritti dell’infanzia e dei minori. Dopo aver fondato l’Ente per la Tutela morale del Fanciullo nel 1947, si occupò della Casa della Cultura di Milano e della fondazione del Centro Studi per la progettazione di nuovi servizi e prodotti per l’infanzia, sempre nel milanese. Teresa Mattei continuò nel corso degli anni a battersi per i bambini, partecipando in diverse associazioni e a numerose iniziative sul tema, non ultima la battaglia per l’assegnazione del Nobel per la Pace ai bambini di Sarajevo durante la Guerra in Bosina del 1992-1996.
Il suo discorso del 2004 al campo di sterminio di Mathausen suona quasi come un lascito: «L’urlo silenzioso di tutti i morti che sono stati determinati dal fascismo, dalla guerra, dalle ingiustizie, [può] essere il nostro urlo, un urlo di pace ma anche di costruzione di una società nuova. Non possiamo vivere in una società vecchia con delle basi vecchie. E le basi nuove, ragazzi, siete voi!».
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