«Ariosto rivisita il Medioevo come Leone rivisita il West» ha scritto Umberto Eco. Da John Ford a Omero, da Charlie Chaplin a Cervantes, le fonti dell’immaginario del cinema di Leone, la sua storia famigliare- che lo rese un precoce frequentatore dei set italiani- e le amicizie d’infanzia sfociate in proficui rapporti professionali sono l’anima della mostra all’Ara Pacis C’era una volta Sergio Leone, una co-produzione della Cinémathèque Française di Parigi insieme alla Fondazione Cineteca di Bologna.
La mostra, promossa dall’Assessorato alla Crescita culturale di Roma Capitale, celebra i 30 anni dalla morte e i 90 dalla nascita del regista italiano, ripercorrendo le tappe fondamentali della vita e carriera di Leone; dall’infanzia (Leone era nato in una famiglia di artisti: suo padre, Vincenzo Leone, in arte Roberto Roberti, era attore e regista del cinema muto) alla formazione, dovuta in gran parte alla visione di film americani come Ombre rosse di John Ford o gli Angeli con la faccia sporca di Michael Curtiz. L’America ebbe tanta parte nella formazione del suo immaginario cinematografico da fargli affermare in seguito: «Nella mia infanzia e adolescenza l’America era come una religione. Sognavo i grandi spazi aperti dell’America. Le grandi estensioni del deserto. Lo straordinario melting pot».
Grazie alla grande esperienza acquisita come aiuto regista al fianco di alcuni dei più importanti nomi della cinematografia italiana e internazionale (da Mario Soldati a Fred Zinneman) approderà a dirigere, a soli trentadue anni, un peplum intitolato Il colosso di Rodi (1961). Il punto di svolta nella sua carriera arriverà però nel 1964 quando Leone firmerà il suo primo western, Per un pugno di dollari, con lo pseudonimo inglese di Bob Robertson (ovvero “figlio di Roberto Roberti”).
Come ben evidenziato nel percorso espositivo della mostra il soggetto di Per un pugno di dollari, è lo stesso di un film del 1961 del regista giapponese Akira Kurosawa intitolato Yôjimbô- La sfida del samurai, a cui Leone si è ispirato non solo per la struttura drammatica ma anche per la composizione delle inquadrature. Grande successo di botteghino, Per un pugno di dollari sancì la fine dell’apprendistato di Leone e l’inizio del suo mito, a cui seguiranno grandi film come Il buono, il brutto, il cattivo (1966), C’era una volta il West (1968) e C’era una volta in America (1984).
«Una delle cose più belle del percorso della mostra è proprio vedere come lui ha trasformato i suoi attori, li ha plasmati anche fisicamente» racconta a Zeta Laura Delli Colli, giornalista, scrittrice di molti libri dedicati al cinema, presidente del Sindacato nazionale giornalisti cinematografici e del Festival internazionale del Film di Roma e nipote di Tonino Delli Colli, storico direttore della fotografia dei film di Leone.
«Leone degli attori diceva che “sono come bambini particolarmente viziati e rompiballe. Devi adularli e sgridarli, devi trattarli in un modo specialissimo, come se non fossero precisamente esseri umani. Più che amarli, li sopporto”. Parlava appunto di un regista un po’ domatore che abituava i suoi attori ad allenarsi fino a quando non si spogliavano anche del copione per acquisire naturalezza. Già dai tempi di C’era una volta il West o Giù la testa esigeva che [gli attori] fossero prima di tutto delle maschere epiche. Ha sempre preteso che tutti, da Charles Bronson a Clint Eastwood, facessero parlare anche le dita delle mani e dei piedi. Il vestito della Cardinale in C’era una volta il West, per esempio, è uno dei particolari che ha voluto lui, sempre circondandosi di collaboratori stretti, e che, secondo me, ha arricchito la semplicità e la bellezza dell’attrice».
Il vestito in questione è ben visibile all’interno del percorso della mostra, insieme ad altri costumi ormai diventanti iconici come il poncho indossato da Clint Eastwood nella Trilogia del dollaro.
All’interno del percorso della mostra è presente anche un’immagine che ritrae Leone con il suo direttore della fotografia, Tonino Delli Colli.
«Leone lo diceva sempre: “cerco di lavorare con le persone che conosco meglio”, e le persone che conobbe meglio per un lungo periodo della sua vita furono Ennio Morricone, Nino Baragli (ndr il suo montatore storico) e Tonino Delli Colli» dice Delli Colli.
«Con Tonino c’era un rapporto molto stretto e non c’era particolare bisogno di un rodaggio sul set- cosa diversa rispetto al rapporto che aveva avuto con Pasolini, che aveva più bisogno di una sorta di supporto- con Leone ciò non esisteva perché era molto preparato, sapeva quello che voleva».
In uno dei filmati presenti nel corso dell’allestimento viene mostrato Tonino Delli Colli sul set di C’era una volta in America che ha rappresentato per lui una sfida poiché la fotografia doveva servire a differenziare le varie epoche in cui è ambientato il film.
«E questo tono diverso per ogni epoca aveva anche un grande lavoro dietro su come poter gestire i tempi delle riprese per non parlare poi della diversa lavorazione che richiedevano le scene dei ricordi che diventano immagine. Un esempio è quando nel film, Noodles spia da una feritoia nel muro la giovane Deborah che danza in mezzo ai sacchi di farina. Oggigiorno quell’effetto si otterrebbe magari al computer ma allora usarono un po’ di fumo per creare la nebbia dorata in modo da farla sembrare polvere di farina che la bambina alzava mentre ballava» dice Delli Colli.
Un altro tema importante presente nella mostra è quello dell’amicizia con Ennio Morricone, compositore di tutte le colonne sonore dei film di Leone a partire da Per un pugno di dollari e amico d’infanzia del regista, avendo frequentato insieme le scuole elementari. L’approccio di Leone alla colonna sonora era peculiare e, poiché pensava che dovesse essere la musica a ispirare il film e non viceversa, Morricone componeva la musica sempre prima delle riprese, ispirato da Leone che gli raccontava oralmente la trama del film, scena dopo scena.
«E poi c’era il rapporto con Morricone- quello nella mostra è molto chiaro- perché erano stati compagni di scuola a Trastevere e Monteverde. Sono rapporti che non si sono mai allentanti, sono rimasti sempre molto sinceri e molto famigliari. Per Morricone, Leone è stato il grande ingresso nella musica da film» afferma la Delli Colli.
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