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Esclusiva

Dicembre 4 2020
“Metodo e cura delle fonti”, Carlo Bonini incontra la redazione di Zeta

La cronaca giudiziaria, i romanzi, i film, la lezione di Carlo Bonini: “Il giornalismo investigativo adempie alla funzione dello svelamento e fa luce sugli accadimenti della realtà”

«Perché si fa giornalismo investigativo?». L’incontro di Carlo Bonini con i praticanti di Zeta inizia così. È lui che fa una domanda, curioso di ascoltare le repliche, per poi raccontare l’aneddoto in cui ha trovato la risposta che lui stesso ha scelto di fare sua. Si trovava nella redazione del Boston Globe, il giornale le cui scrivanie hanno ospitato i documenti di un’inchiesta famosa, Il Caso Spotlight, da cui è stato tratto l’omonimo film nominato agli Oscar nel 2016. «Marty Baron era allora il direttore del Boston Globe e mi rispose che il giornalismo investigativo si fa per impedire che accada di nuovo quello che si è raccontato. Non mi pare male come risposta».

Carlo Bonini, vicedirettore del quotidiano la Repubblica, specializzato in giornalismo investigativo, è anche scrittore e autore di due docufilm: Nove giorni al Cairo, sul caso Regeni, e Daphne, sull’omicidio della giornalista maltese Daphne Caruana Galizia. Tra i molti libri: ACAB del 2009 e Suburra, scritto nel 2013 con Giancarlo De Cataldo, da cui è stato tratta la versione cinematografica diretta da Stefano Sollima e una serie televisiva per Netflix. L’attività di scrittore non si è mai fermata, fino a Ti mangio il Cuore, con Giuliano Foschini, sulle violenze della mafia foggiana.

«Quando da piccolo stavo imparando l’inglese, mio padre per aiutarmi mi regalò Tutti gli uomini del presidente di Bob Woodward e Carl Bernstein in lingua originale e io mi appassionai al caso Watergate. Quando uscì il film sognavo guardando Dustin Hoffman e Robert Redford con le maniche della camicia arrotolate in redazione, lo trovavo un mestiere avventuroso».

«Il giornalismo investigativo adempie alla funzione di svelamento che il giornalismo ha in sé e possiede una forza di impatto che il solo fatto di cronaca non ha, oppure ha in misura minore. La cronaca ha il suo svelamento nel momento in cui si manifesta mentre il giornalismo investigativo ha bisogno di procedere passi successivi, per questo si serve anche del long-form, di tempi distesi nella stesura e nella lettura».

Spesso giornalismo investigativo e cronaca giudiziaria sono usati come termini intercambiabili, ma «c’è un tratto distintivo, il primo non rielabora per forza solo le vicende giudiziarie e soprattutto al pari delle fonti giudiziarie, come polizia e avvocati, ne utilizza altre alla pari». Anche se i criteri di ricerca si sovrappongono a quelli di un’inchiesta, «Il lavoro migliore nel giornalismo investigativo spesso segue dei procedimenti induttivi, si parte dall’esplosione di un fatto nella realtà da un frammento, un lacerto, una dichiarazione anonima magari, che il giornalista raccoglie. E qui si innesca il seme dello svelamento: attraverso un dettaglio qualcosa non torna, non funziona, allora occorre smontare l’avvenimento, guardarlo meglio e rimontarlo. Il fatto ricostruito assume significati diversi e a volte capovolti rispetto all’interpretazione che ne era stata offerta all’inizio».

Il lavoro investigativo è possibile solo attraverso un attento lavoro di squadra. «Il lavoro di team è importante, consente la dimensione collettiva, non solo per capacità professionali che ognuno apporta, ma anche per la pluralità di fonti: politiche, investigative, accademiche, scientifiche». La cura delle fonti fa la differenza. «È l’elemento più importante nel confezionamento di un prodotto di giornalismo investigativo. I giornalisti sono le loro fonti, se non si costruiscono e si coltivano avremo sempre e solo la possibilità di mettere insieme notizie da fonti aperte, accessibili a tutti». Le fonti “aperte” non sono sufficienti a definire il lavoro del giornalismo investigativo, servono le fonti “chiuse”, che danno qualità alla realizzazione dell’indagine. «Alle fonti chiuse spesso ha accesso solo il giornalista che ha un rapporto diretto con una fonte. Sono queste le fonti capaci di offrire la chiave per smontare e rimontare la sequenza dei fatti».

Ma il rapporto con le fonti va coltivato e gestito, «Come in ogni rapporto umano, ci vogliono tempo e impegno per guadagnare la fiducia delle proprie. Immaginate un’inchiesta sulla carenza di posti letto nelle terapie intensive, vi verrà detto di andare al Ministero della Salute o nei grandi ospedali e all’inizio incontrerete tante persone che vi racconteranno l’ovvio. Ma poi un indizio vi farà capire di essere davanti a una fonte chiusa, e attraverso la verifica dell’informazione che vi hanno dato voi capirete se quella fonte è affidabile e sceglierete di coltivarla nel tempo».

L’attenzione alle fonti è anche l’elemento che permette di districarsi meglio nella pioggia di informazioni disponibili in rete, «I criteri sono gli stessi, ma la fatica è aumentata, ci muoviamo in un contesto rumoroso, le sollecitazioni delle fonti aperte si sono moltiplicate, allora lo strumento migliore per difendersi è saper utilizzare questi strumenti con consapevolezza».