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Esclusiva

Dicembre 24 2020.
 
Ultimo aggiornamento: Dicembre 26 2020
«Una strana notte per giocare»: “Regalo di Natale”, di Pupi Avati

Quattro amici di vecchia data si ritrovano attorno a un tavolo da poker la notte di Natale con l’obiettivo di spennare un ricco industriale e dare una svolta alle loro esistenze. Ma nel poker, come nella vita, niente è quello che sembra

Ugo, Lele e Stefano condividono tre cose: un’antica amicizia, una vita a Bologna e una passione per il poker “all’italiana”. Ce ne sarebbe anche una quarta, di cui nessuno parla: una profonda crisi di mezz’età tra matrimoni infelici, aspirazioni tradite e ristrettezze economiche.

Lele (Alessandro Haber) recensisce film a luci rosse per un giornale di quart’ordine, ogni Natale prega che il direttore legga finalmente un suo articolo e spera una buona volta di ricevere il panettone aziendale come il resto della redazione. Ugo (Gianni Cavina) lavora presso una televisione privata in un programma di televendite senza successo, è divorziato e ha quattro figli di cui non sente la mancanza nemmeno la sera della Vigilia. Di Stefano (George Eastman), il più taciturno, si sa poco. Allena ragazzi in una palestra, ha una moglie ma pare sia omosessuale, dettaglio che sembra nascondere anche a sé stesso.

Ce ne è pure un quarto, Franco (Diego Abatantuono), l’unico a cui la vita pare aver abbozzato un sorriso. Sposato, con due figli, gestisce un importante cinema di Milano e tutti pensano abbia i soldi necessari per mettere a punto un piano che risolleverà le vite dei suoi amici e renderà lui ancora più ricco: sfidare a poker, a suon di rilanci, l’avvocato Antonio Santelia (Carlo Delle Piane) un facoltoso industriale amante del gioco, attirato con fatica da Ugo in una bisca prevista per la notte di Natale.

La fama dell’avvocato parla chiaro: si vocifera che sia un giocatore mediocre e che sembri non curarsi troppo delle perdite economiche, purché si giochi. L’esatto prototipo del “pollo” da spennare. Franco non deve fare altro che sedersi al tavolo e portargli via tutti i soldi con la complicità dei suoi amici, per poi dividere la vincita.

Peccato che Franco e Ugo non si parlino da dieci anni. Di mezzo c’è una donna, un amore rubato e un rancore ancora non sopito di Franco nei confronti di quello che era il suo migliore amico. Nemmeno la trappola ordita ai danni del malcapitato Santelia sembrerebbe l’occasione buona per una riconciliazione, se non fosse che Franco ha un disperato bisogno di giocare: a dispetto dell’apparenza, il cinema non registra gli incassi sperati e i creditori gli sono addosso. Decide perciò di fidarsi di Ugo, nonostante questi sembri più interessato alla vincita che alla ritrovata amicizia.

La partita ha così luogo in una villa fuori Bologna, durante quella che l’avvocato Santelia definisce, non senza un velo di amarezza «Una strana notte per giocare».
Proprio l’avvocato sembra dimostrarsi fin da subito un dissipatore dotato di eleganza e sensibilità, molto diverso dal frivolo ludopatico che tutti immaginavano: si sincera più volte delle disponibilità economiche dei presenti affinché non perdano più di quanto non possano permettersi, cena con tre patate scondite ed è il solo a mostrare sensibilità per Lele, che sogna di vincere per poter pubblicare il proprio libro su John Ford e riscattare così una carriera da impiegato bistrattato.

L’avvocato è anche l’unico al tavolo in grado di strappare un sorriso alla compagnia con considerazioni filosofiche del tutto inappropriate a un contesto così veniale, rafforzando nel gruppo l’idea che sia un giocatore sprovveduto e in fondo contento di perdere: «Immaginate se qui tra noi ci fosse una donna. Come tutto sarebbe diverso, come noi saremmo diversi!».

Nel frattempo, come previsto, le fish viaggiano spedite dalla sua postazione a quella di Franco e sembra non esserci un limite al denaro che può perdere, fino a quando, a pochi minuti dal termine della partita, arriva il rilancio della vita: 250 milioni di lire. Vedere o passare. Franco non può saperlo, ma la trappola è già scattata e il regalo di Natale non sarà per lui.

La scena madre del film: il rilancio di 250 milioni

Uno dei film rivelazione del 1986, vincitore del David di Donatello e del Nastro d’argento, “Regalo di Natale” di Pupi Avati è rimasto scolpito nella memoria collettiva come una delle più iconiche pellicole natalizie, sebbene non sia a tutti gli effetti un film di Natale e nemmeno un film sul Natale.

La spiritualità della festa rimane sullo sfondo e serve da contesto per dare alla circostanza un tono di decadente squallore. Che speranza può esserci per cinque uomini soli e infelici che trascorrono la notte più importante dell’anno cercando di derubarsi a vicenda? Lo spettatore viene di continuo posto davanti a questa domanda senza mai trovare risposta.

Merito dell’atmosfera malinconica molto poco “anni ‘80” ricreata dal regista; merito soprattutto degli attori, tra cui si segnala positivamente un Diego Abatantuono al debutto in un ruolo drammatico (quello di Franco) e tra i quali spicca un magistrale Carlo Delle Piane nei panni dell’avvocato Santelia, ruolo che gli valse la Coppa Volpi per la miglior interpretazione maschile.

A rendere in modo efficace tutta l’amarezza della situazione in “Regalo di Natale” è una recitazione sottotono da parte dei protagonisti, che si rivela essere la scelta giusta per trasmettere il peso gravoso di un’esistenza incompiuta, solitaria, piena di rimpianti, lontana anni luce dalla gioia e dal vero amore, per cui una vittoria a poker appare un misero surrogato eppure allo stesso tempo l’unica consolazione possibile.

Un’eccezione in questo senso è l’interpretazione sopra le righe del personaggio di Lele da parte di Alessandro Haber, sempre a suo agio in ruoli grotteschi e tragicomici. Se per Franco e gli altri trovarsi a un tavolo di poker in una notte come quella è una sorta di condanna utile a racimolare quattro soldi, per lui è «Il Natale più bello di sempre. Si sta insieme, tra amici, si chiacchiera e si gioca». Lele è forse l’unico della comitiva a non avere nulla da rimpiangere, ma neanche qualcosa da perdere: non il rispetto degli amici, a cui pure vuol bene, non la stima dei colleghi, non l’amore sincero di una donna. La sua leggerezza è quella di un uomo semplice che non può sentire la mancanza di ciò che non ha mai conosciuto.

Tra gli elementi distintivi del film c’è ovviamente il poker. Eppure, anche in questo caso, non può dirsi che sia un film sul gioco di carte, nonostante ogni scena cruciale ruoti intorno al tavolo verde. L’aspetto ludico passa in secondo piano, il poker non è solo il gioco che intrattiene e attraverso cui i protagonisti cercano di raddrizzare la propria parabola discendente, ma diventa presto una cinica metafora della vita dove alla fine trionfa chi riesce a far credere agli altri quello che vuole.

“Regalo di Natale” è un film amaro, che parla di amicizie tradite e svendute per una partita di poker. Dei quattro amici Lele è forse il solo a giocare a carte scoperte: il suo affetto nei confronti di Franco è sincero e disinteressato, nonostante il rapporto tra i due somigli più a quello tra uno squalo e il suo pesce pilota. Per il resto, il valore dell’amicizia arriva ai titoli di coda con le ossa rotte: Ugo è ancora lo stesso che dieci anni prima aveva rubato la donna a Franco, mentre Stefano sembra indifferente alle sorti di ognuno di loro.

Nonostante i tanti lustri alle spalle, “Regalo di Natale” è un film invecchiato bene. Si percepisce, se pure in modo sfumato, un contesto storico forse irripetibile, un’Italia che non c’è più. I temi affrontati sono però eterni: il valore dell’amicizia, l’opportunismo, la disperata ricerca di una felicità sempre sfuggente. E un finale amaro che, con il sorgere dell’alba, lascia più ombre che luci.  

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