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Esclusiva

Dicembre 26 2020
«Se Gesù fosse vivo sarebbe nella guerriglia»

Cristo con il Fucile in spalla, del giornalista polacco Ryszard Kapuściński, è una raccolta di reportage dal Medio Oriente, America Latina e Mozambico. Storie successe più di 50 anni fa ma con uno sguardo ancora attuale

«Oggi si parla molto della lotta contro il rumore, mentre è molto più importante combattere il silenzio. Nella lotta al rumore è in gioco la pace dei nervi, nella lotta al silenzio la vita umana. Nessuno giustifica né difende chi fa molto rumore, mentre chi impone il silenzio nel proprio stato viene sempre protetto da un apparato repressivo». 
Ryszard Kapuściński, giornalista, scrittore e saggista polacco ha scritto così in Perchè è stato ucciso Karl Von Spreti, uno dei reportage di Cristo con il Fucile in spalla, uscito per la prima volta nel 1975 ma pubblicato in Italia da Feltrinelli nel 2011.

Il titolo è un modo per ricordare Camilo Torres Restrepo, sacerdote e rivoluzionario colombiano che si unì ai guerriglieri perché desiderava che tutti, anche gli ultimi, godessero degli stessi diritti. Combatteva con l’abito talare ed il fucile sulle spalle e morì durante la sua prima battaglia, un’imboscata tesa all’esercito nazionale colombiano. Una figura controversa che ha fatto dialogare marxismo e cattolicesimo, un uomo colto, fondatore della facoltà di sociologia di Bogotà che decise di unirsi ai guerriglieri sperando di ripristinare la giustizia sociale, di cambiare la Colombia e in fondo anche il mondo.

Kapuściński racconta quello che vede, dialoga con chi incontra, attraversa tantissimi paesi – soprattutto l’Africa – corrispondente dell’agenzia di stampa nazionale polacca Pap. Unisce il rigore e la chiarezza espressiva della notizia con la volontà di analizzare e approfondire ciò che accade. Al centro dei suoi racconti c’è sempre l’uomo. 

Karl Von Spreti era l’ambasciatore della Repubblica Federale Tedesca in Guatemala nel 1970. Venne sequestrato e rapito da sei guerriglieri delle Far, Forze Armate Ribelli, perché – come scrive Kapuściński- in Guatemala non esistevano vie legali per difendere o salvare un prigioniero, non restava che sequestrare un avversario e scambiarlo. Fu rapito in Avenida de las Américas, una delle strade più trafficate di Città del Guatemala, fatto scendere dalla sua Mercedes nera e salire a bordo di una Volkswagen ma nessun passante si fermò a guardare, nessuna auto che rallenta.

Non ci fu nessun testimone per l’accaduto perché «se la polizia non trova il criminale, trasforma in criminale il testimone: vedere può equivalere a prenderne parte. Una partecipazione, a dire il vero, puramente visiva, ma pur sempre partecipazione. Ha visto qualcosa ma è stato zitto: come mai hai taciuto? Perché era uno di loro. Oppure: ha visto e ha gridato: come mai hai gridato? Per sviare i sospetti. In un modo o nell’altro viene provata la sua colpevolezza. In fin dei conti poco importa che a pagare sia proprio colui che ha ucciso».

Il racconto del rapimento di Von Spreti e della sua morte diventa un modo per rivelare che cosa succede in Guatemala, dalla nascita della Repubblica durante un’epidemia di colera nel 1838, al peso politico di Germania e Stati Uniti, allo strapotere della United Fruit Company, fino al silenzio che riempì la città dopo la vicenda.
Kapuściński descrive, argomenta, va dentro la storia, delinea i personaggi con cui entra in contatto, parla, per costruire un unico racconto che fila, mai banale ma chiaro, diretto, fatto per farsi comprendere. 

In Cristo con il Fucile in spalla non c’è soltanto il Guatemala ma anche Salvador Allende e Che Guevara, uomini che sacrificarono la loro vita per il potere del popolo «Il primo, difendendolo; il secondo lottando per ottenerlo. La scrivania di Allende è solo un simbolo, così come lo sono le scarpe da contadino calzate da Guevara. Fino all’ultimo momento restarono entrambi convinti di aver scelto la strada più giusta».

Ci sono le storie di guerriglieri, come quella Victoriano Gòmez in Salvador, e la normalità con cui quotidianamente si moriva in Bolivia «da noi la morte assume una forma diversa, è un elemento sempre presente: comune, semplice, normale, insisto in noi da sempre» dice il rettore dell’Università di San Andrés, a La Paz, un uomo di trentaquattro anni che durante il conflitto, durato due settimane, tra i trozkisti che avevano occupato l’università e gli anarchici nella vicina casa dello studente, non ha smesso di lavorare nascosto sotto la scrivania segnata dai proiettili.

Il libro inizia con il racconto del conflitto tra Israele e Palestina, i dialoghi con i fedayin, le speranze dei palestinesi che «si trovano tra due fuochi: da una parte Israele, dall’altra l’ambizione di Hussein, re di Giordania. Dei palestinesi morti negli ultimi anni una parte è stata uccisa dalle pallottole israeliane, ma una parte anche da quelle giordane».
E alla fine c’è la ribellione a piedi scalzi che ha portato all’indipendenza del Mozambico.

Cristo con il Fucile in spalla è diviso, sulla base delle aree geografiche, in tre grandi capitoli composti dai reportage che funzionano sia come storie singole sia, insieme, come un racconto che spinge alla riflessione sui movimenti rivoluzionari e di guerriglia che ci furono in Medio Oriente, America Latina e Mozambico tra gli anni sessanta e settanta del novecento.

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