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Esclusiva

Gennaio 5 2021
La storia di Alec, la spia che venne dal freddo

Dalla penna di John le Carré, maestro del romanzo di spionaggio, un libro ricco di colpi di scena e risvolti psicologici, ambientato nella Berlino della Guerra Fredda

«Di per sé la pratica dell’inganno non è particolarmente impegnativa; è questione di esperienza, di pratica professionale, insomma una facoltà che molti possono acquisire. Ma mentre il truffatore, l’attore o il giocatore dopo la prestazione può ritornare tra le file dei suoi stessi ammiratori, all’agente segreto non è riservato un tale sollievo. Per lui l’inganno è innanzi tutto una questione di autodifesa. Deve proteggersi non solo dall’esterno ma anche dall’interno e contro il più naturale degli impulsi». 

Cappello sugli occhi, mozzicone di sigaretta sotto le scarpe, impermeabile con bavero alzato alla Humphrey Bogart, attore statunitense icona della Hollywood del primo Novecento. Ne La spia che venne dal freddo le sfumature classiche ci sono tutte. Un romanzo che nel 1963 consacra John le Carré, pseudonimo di David Cornwell, autore britannico di successo deceduto lo scorso 12 dicembre. Una trama elaborata e ricca di particolari, con colpi di scena e risvolti psicologici. E un ritmo incalzante, sin dalle prime righe. Sullo sfondo la cupa Berlino, città divisa dal Muro, simbolo di quella che nel 1945 lo scrittore e giornalista britannico George Orwell aveva chiamato per la prima volta Guerra Fredda. È la storia di Alec Leamas, cinico e disilluso agente segreto inglese, alla sua ultima missione: va eliminato il pericoloso Mundt, sospettato di essere al servizio della nemica Stasi, la principale organizzazione di sicurezza e spionaggio della Repubblica Democratica Tedesca. Il dettagliato piano del capo Control, l’amore imprevisto di una donna, la schiera di personaggi indecifrabili che si rincorrono tra le pagine. Risultato? Una spy story con dettagli vividi e un finale a sorpresa. Per lo stesso Leamas. 

La spia che venne dal freddo
John Le Carré

Prima funzionario dell’Intelligence sotto copertura, come diplomatico all’Ambasciata britannica di Bonn, poi maestro del romanzo di spionaggio. La parabola di le Carré è sorprendente come il suo stile, acuto, sottile, a tratti ironico, strumento per uno sguardo analitico e profondo dell’epoca. Al servizio di Sua Maestà la Regina c’è una scrittura ragionata, che attinge dalla cruda realtà della Storia, immune al sensazionalismo di James Bond, il più celebre esempio letterario del genere. All’impeccabile eleganza di 007, si contrappone un protagonista alcolizzato dalla barba incolta, che lascia il lettore nel dubbio: dove finisce Leamas, dove inizia il suo ruolo di spia? 

«Un’esplosione interiore, peraltro non ben mascherata, in seguito alla quale la mia vita non sarebbe stata più la stessa». Così l’autore descriverà la nascita del suo romanzo cinquant’anni più tardi, pioniere di quel filone narrativo che lo avrebbe eletto tra i più importanti scrittori inglesi del secondo Novecento.