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Esclusiva

Gennaio 28 2021
«Non sarebbe stato lo stesso». Sara Simeoni racconta un’Olimpiade senza inno e senza età

Il “decreto Cio” restituisce autonomia al Coni: l’Italia sarà ai Giochi di Tokyo. Intervista alla campionessa veronese, che a Mosca 1980 salì sul gradino più alto del podio… cantando De Gregori

Concentrazione. Uno sguardo all’asticella, una preghiera: «Non tradirmi, non questa volta». Rincorsa, stacco, salto. Oltre 197 centimetri. Poi il rumore del materasso e il boato del pubblico. Alle Olimpiadi di Mosca, nel luglio 1980, Sara Simeoni vinse la medaglia d’oro nel salto in alto, ma non cantò l’inno di Mameli e non esultò sotto il tricolore. Dalle sue labbra quel giorno uscirono le parole di “Viva l’Italia”, del cantautore romano Francesco De Gregori. Dopo mesi d’incertezza, il rischio che quarantuno anni più tardi la scena potesse ripetersi a Tokyo è stato evitato. «Ascoltare quelle note è il coronamento di una carriera, ti identifica con la gente», ha raccontato a Zeta la campionessa veronese. 

«Non sarebbe stato lo stesso». Sara Simeoni racconta un'Olimpiade senza inno e senza età

La vicenda risale all’epoca del primo governo Conte. La riforma sportiva del 2018 aveva privato il Coni della propria autonomia dal potere politico. Per il Cio (Comitato Internazionale Olimpico) una chiara violazione della Carta, meritevole di sanzioni, da ufficializzare nella riunione dell’esecutivo del 27 gennaio 2021. L’Italia avrebbe rischiato l’esclusione dai Giochi, con i nostri atleti qualificati ma senza bandiera, inno e divise. Poi, a tempo quasi scaduto, il provvedimento d’urgenza del governo dimissionario, che restituisce al Coni la sua indipendenza: il decreto Cio gli riconosce una propria dotazione organica di personale, anche dirigenziale. 

«Un bene che sia andata così. In caso contrario – spiega l’azzurra – sarebbe stato un peccato per i nostri atleti. Quei momenti restano nella storia personale, vanno vissuti al meglio. Per me restano un piccolo rammarico».

Tante le differenze storiche, ma l’episodio ricorda – in modo inevitabile – il 1980, quando a marzo il Presidente americano Jimmy Carter annunciò che gli Stati Uniti non avrebbero partecipato ai Giochi, programmati in Unione Sovietica dal 19 luglio al 3 agosto. Decisione che arrivò in seguito all’invasione russa dell’Afghanistan (iniziata nel dicembre dell’anno precedente e interpretata come “tentativo di sottomettere un popolo indipendente”) e all’ultimatum, non rispettato, di ritirare le truppe. Iniziativa condivisa da 64 nazioni, tra cui Germania Ovest, Israele e Cina. I Comitati di 15 Paesi, invece, decisero di partecipare, e in segno di protesta si presentarono sotto la bandiera olimpica. Tra questi, l’Italia, che inviò solo atleti civili e chiuse al quinto posto nel medagliere. 

Quei Giochi raccontarono la leggenda di Pietro Mennea e proprio l’impresa di Sara Simeoni. «Fu un periodo incerto non eravamo per nulla tranquilli. Per fortuna tutto andò bene, ma se non avessi partecipato sarebbe stata una delusione enorme. Era l’occasione della vita, l’Olimpiade racchiude quattro anni di sogni e sacrifici. Oggi è diverso, i più forti vengono da squadre militari. Anche se la situazione è diversa, non sarebbe stata la stessa cosa». 

Della sua esperienza, la veronese ricorda ogni momento con emozione: «L’unico grande dispiacere fu alla partenza, pensando ai compagni di tanti allenamenti costretti a restare in Italia. Poi, quella strana atmosfera scomparve una volta atterrati in Unione Sovietica. Furono giorni straordinari, e mi sentii a casa proprio nel momento più importante. Eliminata la saltatrice russa, diventai la beniamina del Grande Stadio Lenin. Che tifo. In quel momento, capii che la vittoria era vicina». 

In vista di Tokyo e di un’altra Olimpiade atipica, Sara Simeoni non ha nessun suggerimento per gli azzurri. «Gli atleti sono pronti a eventi del genere, è il loro mestiere. Nascono per questi obiettivi, vanno lì per vincere. La bandiera ci sarà, ma in ogni caso l’Italia avrebbe guardato i suoi campioni allo stesso modo, con trasporto e partecipazione». Per fortuna, non servirà consigliare un’altra canzone per celebrare il gradino più alto del podio.