«Ma da casa mi vedono? C’è una telecamera qui?». Enrico Mentana non perde il vizio neanche lontano dagli studi tv. Si guarda attorno e cerca la luce rossa della diretta. Parla a braccio senza prendere fiato alternando toni e mezzi toni, concetti e battute. Da oltre dieci anni alla guida del Tg La7, il noto giornalista televisivo è stato ospite della Scuola di Giornalismo della Luiss per un incontro con gli studenti. Un’occasione per ripercorrere la sua carriera – dagli esordi al Tg1 alla fondazione del Tg5 fino alla rete di Urbano Cairo – e fare il punto sul panorama di oggi, con un linguaggio in continua evoluzione.
«Sono entrato in Rai in anni di ricambio generazionale, con i vecchi di allora che venivano dalla carta stampata e ne ricalcavano logiche e lessico – racconta Mentana – Nella vita reale nessuno si reca in un posto, un aereo non è un velivolo e una lettera non è una missiva. Eppure giornali e notiziari si esprimevano in questo modo. Nei tg che ho diretto le notizie non si leggono, tutti devono parlare chiaro e farsi capire. Chi ci guarda vuole conoscere i fatti e non va sfidato con termini dotti e citazioni fumose». Da qui una prima lezione per gli aspiranti giornalisti: «Se sapete una cosa parlatene, se non la sapete chiedete agli esperti e pretendete la stessa chiarezza che pretendete da voi stessi».
Con il tg che conduce ogni sera e ancor più con le sue Maratone, ore e ore di diretta per narrare elezioni e crisi di governo, Mentana ha rotto gli schemi. Se i telegiornali Rai sono fermi a un linguaggio paludato e a codici del passato, sul tasto 7 del telecomando va in onda un racconto immediato che unisce scena e retroscena, i fatti e la loro interpretazione. A metà strada tra informazione e intrattenimento: «Gli speciali del Tg La7 sono fatti di tanti ingredienti che vanno dosati con cura. I politici sono i protagonisti e i palazzi del potere la location della storia. Poi ci sono gli opinionisti e gli inviati sul campo, maschere della commedia dell’arte che improvvisano su un canovaccio».
Le Maratone Mentana alternano momenti seri a momenti di gioco, il dato reale e lo spazio del sondaggio. Un meccanismo rodato che fa entrare il telespettatore dentro i fatti. «Un risultato di questo tipo – avverte il padrone di casa – è il frutto dell’esperienza, della curiosità e la passione che ho accumulato negli anni. Voi dovete appassionarvi a tutto, coltivare una soggettività forte che vi farà toccare temi diversi con toni diversi: parlare degli asparagi e dell’immortalità dell’anima, della Juventus e dei furti! Non dovete essere tuttologi, ma la specializzazione verrà più avanti».
Mentana richiama i cambiamenti che stanno segnando il giornalismo, a partire dall’avvento del digitale: l’abbassamento della soglia di attenzione favorito dai social e una fruizione delle news sempre più da mobile. «Oggi i siti dei grandi giornali hanno 20-30 persone che si occupano di tutto, e anche così non arrivano a una copertura completa. Dobbiamo adattarci ai ritmi imposti da chi ci segue e coniugarli con la qualità: spiegare gli eventi senza snobismi, senza cadere nel gossip ma raccontando il mondo per come è; la commedia umana nelle sue varie forme, dal talento di Sinner alla morte del principe Filippo».
I nuovi giornalisti sono multitasking o non sono. Una lezione che il direttore del Tg La7 ha trasmesso ai redattori di Open, il giornale online che ha lanciato due anni fa: «Un prodotto fatto da giovani giornalisti per avvicinare i giovani lettori al piacere e al dovere di informarsi. Come traffico va bene e con la pubblicità guadagna, ma vedremo se saprà camminare sulle proprie gambe. L’ho fondato con i miei soldi ma non lo dirigo io e non è a me che deve piacere. Per me la missione è compiuta: avevo un debito di coscienza con le nuove generazioni e credo di averlo saldato».
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