Quando cala la notte e la città si spegne, provate a posare gli occhi dove non guardereste mai: dai seminterrati e dai locali privi di insegna filtra una luce fioca, si sentono persone discutere di bluff e rilanci, di tris e di scale. Le fiches accatastate e rigirate tra le dita generano un picchiettio che non si ferma mai: è il suono del poker. Sui server digitali, intanto, si raduna il mondo: i tavoli e le carte sono virtuali, il denaro è intangibile ma reale. Per la maggior parte dei giocatori il poker è il sogno di arricchirsi in una notte, con un po’ di pazienza e tanta fortuna; per altri è «il lavoro più bello del mondo», l’unico dove lo stipendio non si guadagna, ma si vince.
Come, il poker un lavoro? Proprio così, ma c’è poker e poker: il “Texas Hold’em”, la variante americana del classico “cinque carte”, si basa su regole tanto semplici da imparare quanto complesse da padroneggiare: in un singolo torneo può vincere chiunque, ma più a lungo si gioca, più la fortuna cede il posto all’abilità. La differenza tra chi punta solo perché pensa di avere buone carte e chi non investe una singola fiche senza prima aver calcolato la probabilità di chiudere un colore o di aggiudicarsi il piatto in bluff è ciò che distingue un “pollo” da uno “squalo”, per dirla in gergo pokeristico. Matematica, non fortuna. E se per vincere tanto basta essere bravi, ecco che anche il poker diventa un mestiere con le sue regole, i suoi orari e i suoi professionisti.
«Ho capito che non era solo fortuna, perché vincevo sempre io». Andrea Crobu, 26 anni, è un pro dell’Hold’em da quando, appena maggiorenne, vinse 40mila euro arrivando primo in un torneo online: «Quel giorno ce l’ho tatuato sul braccio. Da una notte all’altra sono passato dall’alzare quattro soldi nelle partite con gli amici, a ritrovarmi sui giornali (La Nuova Sardegna, ndr) come uno dei più giovani vincitori di torneo. È stato allora che ho deciso di darmi al professionismo».
Da lì in poi tutto in discesa? Non proprio: «È una scelta di vita che richiede totale abnegazione: se giochi a poker non puoi fare molto altro. Le mie sessioni online durano 10-12 ore al giorno, dal tardo pomeriggio fino alle 6 di mattina; mi sveglio a pranzo e studio la teoria, analizzo le mani della sera prima, e poi alle 18 si ricomincia». Anche a poker, quindi, serve studiare: «Richiede un aggiornamento continuo, oggi anche di più rispetto a dieci anni fa perché ci gioca molta più gente e il livello medio si è alzato. In compenso lo studio è ora alla portata di tutti, esistono programmi e software che velocizzano l’apprendimento e l’analisi del gioco. Io ho dovuto imparare con la mia testa e, i primi tempi, con l’aiuto di un coach».
Lavoro notturno, orari estenuanti, tempo libero ridotto al minimo. Il poker assomiglia tanto a quei mestieri che nessuno vorrebbe fare: «Ti direi che è un lavoro come un altro, se non fosse che è anche più impegnativo. Non mi sono mai diplomato, non potevo andare a letto alle 5 e poi alle 7 recarmi a scuola. Per anni ho sognato di fare il calciatore, ma il poker ti impegna il fisico e la mente, e se la sera prima hai perso soldi non riesci a concentrarti sul pallone. Ci sono state notti in cui mi sono addormentato piangendo per una brutta mano o per aver mancato una grossa vincita. Tra alti e bassi riesco a guadagnare in media 4-5 mila euro al mese e a vivere notti adrenaliniche».
Proprio i soldi, l’idea di farne tanti, subito e magari divertendosi, è la molla che spinge frotte di neofiti ad affacciarsi a questa realtà, in un periodo storico in cui trovare un lavoro stabile e remunerativo appare una chimera. Quando poi si sparge la voce che un italiano ha vinto oltre 14 milioni di dollari in sedici anni di carriera, il richiamo delle carte diventa il canto delle sirene. Parliamo di Dario Sammartino, vice campione del mondo al Main Event delle World Series of Poker 2019 (WSOP), nonché il professionista italiano ad aver incassato di più con quello che definisce “il miglior lavoro del mondo”.
«Ma Wikipedia si sbaglia – ironizza con il suo accento napoletano – perché non tiene conto delle perdite. Avrò vinto al massimo una decina di milioni». Anche in questo caso niente di più difficile: «Per avere successo a poker bisogna farsi il mazzo. Prima di arrivare secondo alle WSOP ho giocato milioni di mani per migliaia di ore, ho sacrificato una storia d’amore, ho lasciato Napoli e la mia famiglia. Ma era quello che volevo: non ho mai giocato per i soldi – quelli, se sei bravo, prima o poi arrivano – ma per passione». Un episodio per credere: «Quando persi l’heads-up finale a Las Vegas sapevo di avere comunque vinto sei milioni di dollari, ma ci ho messo giorni a farmi passare l’incazzatura, finché i miei amici non mi hanno dato una svegliata – Dario, hai vinto un sacco di soldi, ma puoi tenere ‘sta faccia imbronciata? – a quel punto sono rinsavito e abbiamo festeggiato. Però a ripensarci aver perso mi brucia ancora, perché avevo giocato bene».
Giocare bene è fondamentale, ma quando si disputano tornei come le World Series, con oltre 8mila partecipanti, serve qualcosa in più: «Il segreto è che non bisogna pensare di essere soli contro tutti, perché se ti siedi con questa idea ti avvilisci. I grandi tornei sono suddivisi in centinaia di tavoli e tu devi pensare solo al tuo microcosmo e a te stesso, giorno per giorno. Il poker è sempre “qui e ora” e per vincere la guerra psicologica che stai andando ad affrontare devi concentrarti sulle cose essenziali. Se ti passa davanti un avversario con una montagna di fiches non essere geloso di lui e non farti intimidire. Nel poker, come nella vita, tutto è in continuo cambiamento, basta saperlo cogliere».
«Il poker è entrato nella mia vita come una medicina – prosegue in tono più serio – l’ho conosciuto il giorno in cui persi mio nonno, ero un ragazzo. Mio padre venne da me per tirarmi su il morale, sapeva che ero un patito delle carte, briscola, tresette e roba simile. Mi guardò e mi disse “Oggi ti insegno il gioco più bello del mondo, dove i più forti vincono sempre”. Da quel giorno ho fatto all-in sul Texas Hold’Em togliendomi infinite soddisfazioni e vedendo albe milionarie. Ma se pensate che la fortuna c’entri qualcosa, non avete mai fatto sul serio con il poker. Al massimo ci avrete giocato».
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