Attenzione! Questo articolo è stato scritto più di un anno fa!
!
Esclusiva

Maggio 3 2021
Il futuro dell’online è fatto di carta stampata

Come cambia il modello economico dei giornali tra crisi del quotidiano cartaceo e nuove piattaforme

Nel 2013, un ricercatore svizzero trentunenne crea un algoritmo che estrae articoli dai siti online dei giornali, li divide per argomento e li raccoglie, per categorie, in una sola App per smartphone. Il giovane si chiama Elia Palme e studia computer science al Politecnico di Zurigo. Da una tesi di dottorato nasce Newscron, uno dei primi tentativi di stravolgere il modello economico dei giornali. «È stata una startup molto finanziata in Svizzera, Italia, fino in Germania, ma si è interrotta presto perché ha avuto pochi abbonati e pochi clienti», spiega Emanuele Bevilacqua, presidente del Teatro di Roma e Professore di Marketing dei Media all’università di Lugano. 

Il futuro dell’online è fatto di carta stampata

I dati parlano chiaro, i giornali di carta diminuiscono le vendite di anno in anno. Stando ai dati di ADS, Repubblica nel 2003 produceva più di 42mila nuovi abbonati, undici anni dopo solo 1881. Un decremento superiore al 2000 %. Sorte simile per il Corriere della Sera, il Messaggero, il Fatto Quotidiano e Libero. Gli esperimenti paracadute fanno leva su un’idea centrale: creare un modello di business a metà tra l’abbonamento e l’on demand. Un Netflix, o uno Spotify dell’informazione, per intenderci. Non è un caso che in questo periodo esploda la piattaforma statunitense di streaming online, approdando in Europa. Nel 2012, proprio Netflix fa il suo esordio in Gran Bretagna.

In Svezia, lo stesso anno nasce un servizio simile a Newscron. Si chiama Readly ed è un raccoglitore online di più di cinquemila riviste, ancora attivo. Al prezzo di un abbonamento, permette la fruizione di contenuti editoriali da tutto il mondo, in modalità all you can eat. Riviste e magazine, periodici insomma, ma non quotidiani. 

Il futuro dell’online è fatto di carta stampata
Readly

Ci prova anche Mark Zuckerberg che il 31 gennaio 2014 annuncia di voler assumere giornalisti e editor per la sua nuova app, Paper. Un’edicola digitale che tenta di introdurre il concetto di social news, sotto l’ala di Facebook. Solo due anni dopo, l’idea delle social news ispirata al modello Netflix naufraga.

Dal 22 ottobre 2015, Netflix arriva in Italia e proprio quell’anno un consorzio di editori lancia Edicola Italiana. Digital Magics, incubatore di startup digitali, la finanzia con 1 milione di euro. Dentro ci sono le maggiori testate: Corriere della Sera, La Repubblica, Il Sole 24 Ore, La Gazzetta dello Sport, La Stampa, Il Messaggero, per citarne alcuni. Netflix funziona, Edicola Italiana no. 

«Netflix comincia come servizio di distribuzione, poi si evolve. Ora sforna prodotti propri per controllare l’intera catena del valore. È una questione di sopravvivenza», spiega Massimo Russo, direttore di Esquire. Nel 2013, il servizio di streaming online fondato nove anni prima da Reed Hastings e Marc Randolph entra nel settore della produzione con la sua prima serie, House of Cards. L’editore che accetta un modello del genere, quindi, deve essere pronto a vedersela con un partner che può evolvere in un competitor. «È anche un problema di prodotto. La differenza con Netflix è la durata dei contenuti nel tempo. Un film lo vedi e lo rivedi, un articolo no, scade. Le notizie invecchiano. Il web è molto più adatto a rispondere all’immediatezza dell’informazione».

Il futuro dell’online è fatto di carta stampata

È d’accordo anche Bevilacqua: «Chi fa i giornali non ha il coraggio di dimenticarsi la paura di bucare una notizia. Nel 2016 fui invitato per una rassegna stampa, a Ivrea. Era sabato. La notte prima morì il pugile Cassius Clay e mi ritrovai a commentare i giornali di carta che non ne parlavano. Citai comunque Mohamed Alì, il web mi aveva permesso di studiare e ripercorrere aneddoti sulla vita del pugile. La cosa peggiore fu che il giorno dopo, domenica, tutte le testate aprivano con la stessa foto sulla morte di Alì. Ecco, il male dei giornali non è bucare la notizia, ma avere la pretesa di darla in ritardo e ritenerla tale».  

Newsletter e Podcast sono formati che rispecchiano l’idea di risolvere la crisi dell’editoria con un’innovazione del prodotto. «Non sono modelli sbagliati, ma devono essere integrati in una strategia. Se sono esperimenti che seguono una moda, una tendenza senza che vengano iscritti dentro un abbonamento, non fanno altro che nuocere al cartaceo».  

«Nel futuro vedo i giornali di carta che conservano una edizione costosa, periodica, ma conservano la propria anima sul digitale. Dall’altra, anche gli online produrranno carta, per avere prestigio». Lo fa, ad esempio, Linkiesta. Un aumento del valore economico del cartaceo, quindi, con sempre meno pubblicità e sempre più sponsor.

Leggi anche: L’editoria è in crisi, non è solo colpa dei pirati di Telegram