Scoprire quell’Europa che c’è, ma che non si incontra. Quell’Europa di provincia che nemmeno si conosce ma che comunque vive e opera nella grande comunità da 27 Paesi e quasi 500 milioni di abitanti. Un’unione “rivoluzionaria” ma necessaria, per unire il cervello, la pancia e il cuore dei popoli. E tutto partendo dai giovani. È l’inedito progetto lanciato nel 2018 e attuato lo scorso settembre dall’associazione francese Collectif pour un service civique européen con l’obiettivo di permettere, anche a chi non ha frequentato l’università, la partecipazione a programmi di mobilità internazionale per scoprire persone e culture nuove.
La start up è guidata da volontari tutti sotto i 30 anni e già attiva in Belgio, Germania, Italia, Irlanda, Lettonia e Grecia. Un “Erasmus” per chi la voglia di confrontarsi con altri contesti ce l’ha, ma magari non ha le risorse o le capacità per farlo. Le attività, all’interno di strutture pubbliche come scuole e centri per anziani, sono svolte da coetanei di diversi paesi che interagiscono migliorando innanzitutto la comprensione di una seconda lingua.
L’Unione Europea non ha ancora istituito un servizio civile comunitario, ma al momento esiste il “Corpo europeo di solidarietà”, un programma UE in cui giovani partecipano ad attività di volontariato, ma che non è stato ancora integrato coi singoli servizi civili nazionali.
È qui la novità proposta dal collettivo: «La nostra strategia è su due livelli: uno europeo, per ottimizzare le opportunità già presenti, e uno nazionale, per favorire l’interazione fra i programmi “locali” e il corpo europeo di solidarietà», spiega Benjamin Sibille, il fondatore dell’associazione che negli anni ha ingaggiato quasi 50 volontari e stretto accordi con enti francesi ed europei.
L’associazione organizza i percorsi in tre fasi. Durante la prima i volontari ospitano coetanei stranieri per sei mesi acquisendo competenze umane e linguistiche. «Il lavoro durante i primi sei mesi è fondamentale», spiega Francesco Orlando, selezionato a Metz fra i dodici italiani protagonisti della prima sperimentazione. Il secondo step consiste nella formazione specifica su lingua, cultura e difficoltà del luogo in cui si andrà. Il terzo punto, infine, alfabetizza ragazze e ragazzi a cosa sia stata l’Europa, col recupero di una memoria storica, e a cosa siano oggi i meccanismi che la muovono.
«Cerchiamo di coniugare fra loro elementi che già esistono. Le ragazze e i ragazzi partono per europeizzare giovani meno avvezzi all’UE ma che, passati i sei mesi, a loro volta partiranno per incontrarsi con altri giovani e avendo già fatto esperienza di lingua e cultura diverse. Offriamo diversi corsi sia per i volontari che arrivano, sia per quelli che partono», aggiunge Sibille.
Nonostante la pandemia, la prima fase lanciata nel settembre 2020 a Metz ha visto molte attività in presenza. In collaborazione con Unis-Cité, l’organizzazione leader nel servizio civile in Francia, un primo gruppo di volontari composto da 12 francesi, 5 italiani, 6 tedeschi e 1 belga ha operato nelle scuole e con gli anziani. Negli istituti scolastici con attività sul tema delle discriminazioni, con gli anziani invece «abbiamo ricostruito il filo della memoria storica dell’Europa. Metz è stata una zona frontaliera e tante sono le testimonianze di valore che abbiamo raccolto», dice Francesco.
L’iniziativa si ripeterà nel settembre 2021 in Germania e in Italia con squadre di volontari che accoglieranno i giovani francesi protagonisti della prima fase. Allo stesso tempo, il programma si estenderà in Francia con la graduale creazione di gruppi misti (24 volontari, metà francesi e metà di altri Stati membri) su ogni regione del paese, «rendendolo il più grande schema di mobilità integrata in Europa», assicura Sibille.
Un progetto a medio-lungo termine che andrebbe a integrare il già presente programma Erasmus, dal 2014 arricchito dalla sigla Plus+, e che per via del Covid lo scorso autunno è partito ma solo in modalità smart. Secondo i dati raccolti dalla Commissione europea, infatti, le studentesse e gli studenti che si trovavano in Erasmus a marzo 2020 erano 165mila. Di questi, circa sei su dieci hanno deciso di tornare il prima possibile nel proprio paese.
«Vogliamo dare la possibilità di scoprire tutto il meccanismo e la vita dell’Unione anche a chi vive in condizioni economiche difficoltose o in aree geografiche rurali. Anche lì dev’esserci l’Europa. Per questo motivo organizziamo simulazioni delle sedute parlamentari, così da favorire una maggiore comprensione non solo della politica europea, ma anche delle singole politiche locali. Una sfida ambiziosa, ma concreta. Vogliamo unire le persone, creare il cuore dell’Europea».