Scarpe da ginnastica bianche leggermente consumate dal tempo, quaranta candeline spente da poco, mani macchiate dai colori e al guinzaglio Agata, il suo adorato cane. L’artista e la persona o, forse, prima di tutto la persona e poi l’artista. Per tutti, Harry Greb. Lo pseudonimo dello street artist nasce per proteggere la propria privacy e, al contempo, per omaggiare la storia del grande pugile vissuto negli anni Venti. «Quasi per gioco ho assunto questo nome. Di Harry Greb mi ha sempre colpito la generosità, l’impeto, la tecnica nel pugilato… sport che ho praticato. Alcune sue caratteristiche le ritrovavo nel mio carattere, molte altre nelle mie opere».
In your face è la prima mostra personale dell’artista, ospitata dalla galleria Exclusive Urban Art di Roma, nel cuore del centro storico, fino al 15 gennaio 2022.
«Il titolo dell’esposizione è un modo di dire preso dallo slang americano, da tradursi in ‘alla faccia tua’. Voglio suscitare riflessioni, risvegliare la coscienza critica, provocare. La mia arte è molto provocatoria, sfrontata». Harry Greb intende affrontare la realtà armato di pennelli e voglia di raccontare, senza remore. «L’opera in memoria di George Floyd l’ho lasciata in via Stati Uniti d’America proprio per contestualizzare il messaggio, per denunciare con quanta più forza possibile». «Non è mia intenzione fare la morale a qualcuno» puntualizza, «ma ognuno, per quanto possibile, dovrebbe prestare la propria voce a chi non la ha».
Il suo obiettivo è richiamare l’attenzione su fatti di attualità e denunciare le ingiustizie. «C’è bisogno di riflettere su alcune tematiche. Una tragedia non può essere dimenticata solo perché ci sono altri fatti più recenti. Siamo bombardati dalle notizie ma non possiamo abituarci a tutto, non possiamo subire passivamente gli eventi. Bisogna fermarsi a pensare, a ricordare». Proprio prendendo come spunto un fatto di cronaca, è cominciata la sua carriera da street artist.
«Ho cominciato nel 2020, ritraendo il Papa nei panni della protagonista di Kill Bill e ho lasciato il poster su un muro molto vicino alla Città del Vaticano. Il Pontefice aveva dato, poco tempo prima, il celebre “schiaffetto” sulla mano della fedele. È un’opera che ha attirato presto l’attenzione mediatica. Poi è arrivata la pandemia. Il virus faceva e fa ancora parte della nostra quotidianità, non poteva non influire sul mio lavoro. Non posso scindere quello che sento da quello che rappresento».
Nelle opere a tecnica mista ora esposte e nei poster affissi sui muri della città rivive anche la periferia, da cui l’artista proviene.
«La periferia c’è nel senso di giustizia, nei sentimenti che mi spingono a dipingere, nei disagi che tanti dimenticano ma che molti vivono ogni giorno. Chi guarda le mie opere, lo spettatore, può riconoscere queste realtà. C’è tutta Roma, compresa la periferia. C’è la “romanità”».
«Ho omaggiato Ennio Morricone e Gigi Proietti, due romani fuoriclasse. Poi, a Trastevere, ho ritratto Anna Magnani. Per me lei incarna la città nel suo senso più profondo. Per questo ho chiamato l’opera Roma». L’iconica attrice è dipinta con la mascherina chirurgica e questo la rende estremamente attuale, viva. Anna Magnani, tra le mani di Harry Greb, non perde la profondità del suo sguardo ma si trasforma in un invito a resistere: «L’ho anche scritto: ‘Roma resiste’».
Così, perdendosi per le vie della città, si può incappare in una delle sue opere.
Ora Harry Greb sta esponendo in una galleria ma l’amore per la street art non si è affatto spento: «Sono felicissimo per la mostra ma per strada c’è un impatto, un’immediatezza che non ha paragoni. Le persone passeggiano e scoprono una mia opera. Questo può accadere solo quando i miei lavori non sono in una galleria. Spesso, mi piace tenermi in disparte e osservare come reagiscono i passanti quando trovano qualcosa di mio. Una volta, mi è capitato che una signora mi osservasse con sospetto perché stavo attaccando un poster. Dopo un po’, è stata lei ad avvicinarsi per farsi delle foto. Un’emozione pura, stupenda». Un’arte spontanea che, però, richiede molta preparazione e non sempre è compresa.
«I miei poster vengono preparati in studio, piccoli dipinti su carta che poi attacco. Non danneggiano gli edifici ma capisco che possano dar fastidio. Puoi anche passare dei guai perché, nella migliore delle ipotesi, è affissione abusiva. So, però, che molti artisti cominciano a collaborare con le istituzioni. La street art può anche aiutare a riqualificare delle zone, degli edifici, interi quartieri. Credo che, in generale, si stia cominciando ad accettarla come forma d’arte. Arte con la a maiuscola».
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