«Eravamo topi in trappola». Tommaso, 20 anni, ricorda gli sbarramenti della polizia che il 28 gennaio scorso hanno bloccato più di trecento studenti in Piazza Arbarello, nel centro di Torino, per due lunghe ore. Contro i liceali e gli universitari che manifestavano per la morte in alternanza scuola-lavoro di Lorenzo Parelli, il diciottenne ucciso da una trave di metallo durante l’ultimo giorno di stage in una fabbrica in provincia di Udine, si sono infatti scagliate le cariche della celere. «Cariche molto violente e assolutamente ingiustificate», precisa Simon, 21 anni, promotore della mobilitazione. «Da una parte c’eravamo noi manifestanti senza nessuna protezione, dall’altra la celere con manganelli, calci, pugni e insulti di morte». Dimitri, 20 anni, è stato prima afferrato per il collo mentre lanciava cori con il megafono, e poi ha soccorso un amico colpito da una manganellata sul volto: «È crollato a terra, perdeva sangue dal naso e aveva il sopracciglio spaccato». Giuliano, 18 anni, ha assistito allo svenimento di una ragazza con l’anca fratturata dalle botte: «Oltre al danno fisico, il danno psicologico è profondo, sono state scene impressionanti». Le aggressioni hanno provocato una quarantina di feriti, e come specifica Simon, «Per dieci è stata necessaria l’ospedalizzazione: una ragazza ha avuto un’emorragia cerebrale e ci sono stati sette traumi cranici e tre persone con contusioni in tutto il corpo. È più un bilancio di guerra che di una manifestazione studentesca».
La Questura di Torino ha giustificato l’uso della forza come reazione al tentativo di sfondamento con un furgone dei cordoni di polizia e al lancio di uova, bottiglie di vetro e pietre da parte dei manifestanti. Cecilia, 16 anni, smentisce: «Non è assolutamente successo. Il furgone era parcheggiato, si vede anche nei video. E condanniamo azioni del genere». Dimitri ribadisce: «Non siamo scesi in piazza per picchiare o insultare la polizia». Giuliano, invece, ricorda le risate e le sfide dei poliziotti: «Venite, se avete il coraggio». La settimana precedente, un’altra manifestazione di ragazzi in difesa dell’associazione culturale Comala, minacciata di chiusura dalla costruzione di un supermercato Esselunga, era stata repressa con metodi analoghi. In un primo momento, il questore Vincenzo Ciarambino ha ribadito che «non si mettono le mani addosso alle divise», mentre dopo le polemiche scatenate dagli episodi di violenza ha dichiarato che «la legge è legge», ma va applicata con forme duttili.
Nonostante le batoste ricevute, la paura e la rabbia, gli studenti non si sono rassegnati e hanno diffuso un messaggio di determinazione, prima con l’occupazione dello storico liceo Gioberti per protestare in spazi sicuri, e poi con l’organizzazione della mobilitazione del 4 febbraio per rivendicare il diritto di manifestare e soprattutto per conquistare diritti in alternanza scuola-lavoro. Infatti, secondo Dimitri, allo stato attuale «l’alternanza prepara i futuri lavoratori allo sfruttamento, alla precarietà e all’assenza di diritti e di tutele, perché non garantisce diritti sugli orari di lavoro e sulla retribuzione e nega il diritto alla sindacalizzazione», mentre secondo Tommaso «l’alternanza insegna un mondo del lavoro ingiusto, che produce ogni giorno in media tre o quattro morti». Così strutturata, prosegue Simon, «l’alternanza è profittevole solo per le aziende, non è istruttiva e mette a rischio la salute e, nei peggiori casi, la vita».
Il sindaco di Torino Stefano Lo Russo condivide le ragioni della manifestazione e ha assicurato un incontro tra studenti e forze dell’ordine per ridurre la tensione e «riannodare i fili del dialogo». Il ministro dell’Interno Luciana Lamorgese, invece, ha ricevuto due interrogazioni parlamentari, ma finora non ha rivolto scuse agli studenti. Giuliano contesta la gestione dell’ordine pubblico in tempo di pandemia e ricorda l’attacco dell’ottobre scorso alla CGIL: «Gli stessi cordoni di polizia che hanno picchiato noi studenti, hanno lasciato passare deliberatamente i manifestanti di Forza Nuova».