«Se quelle del presidente della Corte sono solo opinioni personali, espresse per gettare fango sul comitato promotore, chiederemo le sue dimissioni». Marco Cappato, tesoriere dell’associazione Luca Coscioni, replica a Giuliano Amato dopo la bocciatura dei referendum su cannabis ed eutanasia legale.
Le campagne referendarie promosse dall’associazione hanno raccolto le firme di quasi due milioni di persone. I referendum sarebbero stati finalizzati a depenalizzare, in un caso, l’omicidio del consenziente e, nell’altro, la coltivazione di sostanze come la cannabis. I giudici costituzionali, tra il 16 e il 17 febbraio, hanno analizzato i quesiti proposti. L’esito per entrambi è stato lo stesso: inammissibili. I cittadini non avranno la possibilità di esprimersi sulla legalizzazione di eutanasia e cannabis.
«Doveva trattarsi di un giudizio di ammissibilità, si è trattato di un pronuncia di costituzionalità», commenta Cappato, osservando come si sia preclusa ai cittadini la possibilità di esprimersi con un sì o un no sul contenuto dei due quesiti. «Quelle di Amato sono state affermazioni politiche, capiremo presto se espresse o meno a titolo personale, ma soprattutto si tratta di dichiarazioni false».
Per esempio, ciò che il presidente della Corte ha riportato per motivare l’inammissibilità del referendum sulla depenalizzazione dell’omicidio del consenziente. Secondo Amato, finirebbe per farla franca «il primo ragazzo maggiorenne disposto ad accontentare, in una sera in cui magari hanno bevuto un po’ troppo, un amico deciso a farla finita».
Una dichiarazione che ha ricevuto una smentita da parte dell’avvocato dell’associazione, Filomena Gallo. «Il referendum non avrebbe cancellato la parte riguardante la condizione di alterazione per abuso di sostanze. Situazione in cui si potrebbe trovare la persona che richiede l’accesso al suicidio assistito. Quel “ragazzo ubriaco” disposto a dare seguito alle richieste dell’amico verrebbe condannato per omicidio volontario».
Anche sul fronte del referendum sulla cannabis, i promotori hanno confutato le dichiarazioni del neo presidente della Consulta. Il problema, secondo Amato, è che verrebbe depenalizzata non solo la coltivazione della canapa, ma anche quella di droghe pesanti come la cocaina. «L’unica pianta coltivabile come sostanza stupefacente è la cannabis – afferma ai nostri microfoni Antonella Soldo, co-promotrice del referendum – quindi dire che noi andavamo ad aprire al mercato delle droghe pesanti è falso. Perché, per esempio, la cocaina è il risultato di processi di lavorazione successivi alla coltivazione, che sarebbero comunque rimasti illegali».
Nonostante le conclusioni cui è giunta la Corte, l’associazione Coscioni porterà avanti le battaglie per i diritti. «Lo faremo non più sotto la forma dei comitati promotori – dato che con l’arrivo dei quesiti alla Corte il loro ciclo è concluso – ma questo non vuol dire che ci fermeremo», assicura a Zeta il presidente del comitato “Eutanasia Legale” Matteo Mainardi.
Tuttavia, diverse questioni rimangono aperte, non ultime quelle scaturite dalle parole di Amato. «Siamo davanti a una situazione straordinaria: un presidente che si esprime in conferenza stampa con veri e propri attacchi ai comitati. A ciò si aggiungono gli errori nel riportare le ragioni di inammissibilità. Per non parlare dei post pubblicati sui social della Consulta. Si parla solo di bocciatura dei referendum su cannabis ed eutanasia, mentre non si parla per niente dell’inammissibilità del sesto quesito sulla giustizia».
Gli attivisti delle campagne attendono di conoscere le motivazioni della sentenza. «Sappiamo che le decisioni della Corte sono inappellabili. Tuttavia – prosegue Mainardi – stiamo verificando se esistono nel nostro ordinamento altre strade per contestare le pronunce dei giudici, per quanto mai battute prima d’ora. Per ciò che riguarda Amato, l’ipotesi di chiedere le sue dimissioni è sul piatto. Una volta rese pubbliche le ragioni della decisione, capiremo come agire. Quello che è certo è che queste bocciature non hanno danneggiato le nostre proposte. Piuttosto, hanno compromesso la fiducia che i cittadini ripongono nelle istituzioni e nell’introduzione di una normativa sul fine vita. In particolare, penso a quei cittadini che vivono tutto questo con una sofferenza più intensa perché il tempo di attendere, nel proprio corpo, non ce l’hanno».