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Esclusiva

Marzo 11 2022.
 
Ultimo aggiornamento: Marzo 12 2022
Usare il cinema per riscoprire la realtà

Mariuccia Ciotta e Roberto Silvestri dialogano con Zeta sul ruolo della critica. «Abbiamo riscoperto Clint Eastwood quando per tutti era fascista»

Centomila lire per sbarazzarsi dei due critici cinematografici. Era la cifra che con non troppa ironia Nanni Moretti aveva proposto a il manifesto riferendosi proprio a Mariuccia Ciotta e Roberto Silvestri.
Fa sorridere ma descrive bene anche il rapporto complementare e conflittuale che da sempre intercorre fra chi fa il cinema e chi lo scompone attraverso l’analisi. Cineasti e critici plasmano insieme la settima arte, solo da due diversi punti di partenza. François Truffaut, che per tutta la vita coprì entrambi i ruoli, ne è forse l’esempio migliore. Il motivo per cui spesso si crea attrito fra le due professioni è che «un film è già critica di se stesso, oppure di altro cinema», afferma Silvestri.

Nell’elaborazione delle opere cinematografiche esiste una componente di destrutturazione e ricostruzione delle visioni del mondo che va oltre l’analisi contenutistica e di cui si fanno carico, in primo luogo, gli autori e i registi, prima ancora del pubblico e della critica. I film sono uno strumento attraverso cui esplorare la realtà e attraverso cui, come testimonia anche il lavoro di Ciotta e Silvestri, rivalutarla nel tempo e osservarne le evoluzioni. È quel che loro hanno fatto, per esempio, «riscoprendo Clint Eastwood in un periodo in cui la critica, soprattutto europea, lo etichettava come fascista», o più in generale è ciò che hanno fatto scegliendo di dare spazio al cinema statunitense fra le pagine di un quotidiano di sinistra, in un momento in cui la sinistra istituzionale si sarebbe orientata invece sul cinema terzomondista o militante. «In quel momento il cinema americano era il migliore possibile, portatore di nuove idee, che l’Italia scopriva per la prima volta dopo l’autarchia del ventennio».

Rivolgendo l’attenzione al presente, Ciotta e Silvestri sottolineano quanto sia oggi essenziale la resistenza del cinema dei «piccoli, piccolissimi pubblici», che sopravvivono al mercato fagocitato dalla serialità televisiva che accoglie sempre più anche gli autori cinematografici, soprattutto con le miniserie, e non solo. I lungometraggi Marvel, ben saldi ai primi posti del box office negli ultimi quindici anni, «sono l’indice di quanto l’affiliazione seriale si sia infiltrata anche nel cinema. Ma dov’è lì il cinema?». Dove rimane, inteso come strumento di trasformazione della realtà? Parlando del recentissimo Moonfall di Roland Emmerich (2022), Mariuccia Ciotta afferma che «anche gli effetti speciali più realistici, come la luna che si sgretola davanti ai nostri occhi, non hanno vero impatto sul pubblico di oggi, perché non ne cambiano lo sguardo sul mondo».

Il loro scopo si esaurisce nella visione, senza lasciare altro su cui riflettere. Il cinema, tuttavia, anche in questi casi, resiste nell’esperienza della sala, nello schermo in una sala buia, che attutisce gli altri sensi e amplifica ancora l’emozione condivisa.