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Esclusiva

Marzo 29 2022
«Qui ce vive un romano». Il marmoraro di via Margutta

Nel cuore di Roma, la bottega in cui il Maestro Sandro Fiorentini scolpisce le parole nel marmo e cucina per gli amici e «per chi se lo merita»

«Ho rubato con gli occhi, ma fino a quel momento non me n’ero reso conto. Poi mi sono messo a dare delle botte di mazzuolo su un pezzo di marmo, mi è riuscito e quindi ho continuato. Ci sono dei lavori che non si possono imparare, ma li devi tenere dentro». Sandro Fiorentini fa il marmoraro da quasi quarant’anni ed è cresciuto nella storica bottega di via Margutta dove, prima di lui, suo padre Enrico scolpiva frasi di saggezza popolare nel freddo marmo bianco. Ma, alla tradizione, Sandro ha saputo accostare la modernità del suo smartstone, un marmoreo smartphone appoggiato su un tavolino di marmo verde all’ingresso della bottega, suo unico legame con l’era moderna.

È una bottega piccola e stretta quella in cui Sandro scolpisce il marmo. Sulla porta d’ingresso ci sono delle impronte: quelle di suo padre Enrico. Tutto intorno, tra i libri d’epoca impolverati, le fotografie, i disegni a matita e i vecchi arnesi, è un tripudio di targhe incise con lo scalpello e definite con il fuoco. Detti popolari, proverbi romani ma anche le frasi che i passanti, dopo essere rimasti folgorati dalla vetrina della bottega, richiedono direttamente al Maestro. 

«Qui ce vive un romano». Il marmoraro di via Margutta

Una laurea in architettura nel 1983 e poi la scelta di seguire le orme paterne: «Nel disegno ero bravo, ma ho pensato: che vado a faˈ, l’architetto fallito o mi metto a lavorare con mio padre?». Un posto unico la bottega di Sandro, in cui ogni giorno, all’ora di pranzo, il Maestro mette da parte il marmo, accende il fuoco nel camino e inizia a cucinare. «Il primo giorno che mio padre venne qui, in questa bottega, decise di chiudere una finestra e fare il caminetto. Era curioso e gli piaceva mangiare».

Così la gente che abitava nei dintorni, attirata dagli odori che uscivano dal comignolo, ha iniziato a raccogliersi intorno alla tavola del signor Enrico e a condividere il suo amore per la buona cucina, dando vita ad una tradizione che suo figlio Sandro ha portato avanti anche dopo la sua morte, avvenuta nel 2010. «Dicono che sia più bravo di mio padre, ma io non sono un cuoco, sono uno che fa da mangiare. Però mi diverte fare questa cosa, quindi a mezzogiorno lascio quello che sto facendo e mi metto a cucinare per gli amici», commenta il Maestro Sandro, ridacchiando mentre fuma il suo sigaro toscano smezzato.

«Qui ce vive un romano». Il marmoraro di via Margutta

Ma, oltre agli amici di sempre, nella bottega hanno pranzato anche due principi romani, dei quali Sandro conserva un ricordo speciale. Dopo aver mangiato e bevuto una bottiglia di vino insieme, uno dei due lo ha ringraziato per la splendida giornata trascorsa insieme. Un complimento semplice, che nasconde un significato profondo: «nel senso che una volta noi [nobili] mangiavamo con i restauratori, con gli artigiani perché noi crescevamo e loro crescevano», ha chiarito il principe, la cui identità rimane sconosciuta perché «se no s’incazzerebbe!».

Una realtà, quella dell’artigianato, che è destinata a scomparire e a vivere soltanto nei ricordi di chi ha vissuto la vera anima popolare di Roma. Se nel 1969, quando Enrico ha aperto la sua bottega, soltanto in via Margutta c’erano una quarantina di artigiani, oggi ne rimangono solo tre: «c’erano il doratore, il corniciaio, quello che restaurava mobili. Oggi non c’è più nessuno. Peccato, perché quando si perdono le tradizioni un Paese va allo sbando».

«Qui ce vive un romano». Il marmoraro di via Margutta

Con una certa nostalgia nella voce, Sandro conferma che il declino dell’artigianato è iniziato circa vent’anni fa, quando i prezzi sono lievitati, gli affitti dei locali sono aumentati e la burocrazia ha penalizzato questo settore. Ma soprattutto, con l’avvento dell’era moderna e con la tecnologia che regola ogni aspetto della vita quotidiana, è cambiato anche il modo di lavorare e di plasmare l’arte: «una volta c’erano le mani che interpretavano tutto, ma oggi non ci sono più». 

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