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Esclusiva

Aprile 4 2022
Il teatrante eretico e i suoi fratelli

In concorso al Globo d’oro, Sergio Rubini presenta il suo ultimo film, I fratelli De Filippo

Peppino lascia dietro di sé la campagna, le amicizie, la balia che ha creduto essere sua madre per anni. «Dobbiamo andare a Napoli» gli dice strattonandolo e prendendolo in braccio per evitare la sua fuga. In città lo aspetta una nuova famiglia, quella dei De Filippo. Un fratello, Eduardo, e una sorella, Titina. L’ombra della presenza inafferrabile del più grande attore napoletano vivente, Eduardo Scarpetta, ne scandisce e determina i pasti, gli studi ed anche la sopravvivenza.

Al Globo d’oro Sergio Rubini presenta il suo ultimo film, I fratelli De Filippo. Una novella tragicomica che punta lo sguardo sulla famiglia De Filippo, sulla conquista della loro indipendenza e le trame che ne hanno determinato lo storico futuro. «Eduardo doveva uccidere il padre, per come lo aveva trattato e per il suo retaggio. Scarpetta era il detentore del teatro ottocentesco e doveva scomparire perché Eduardo potesse vivere il suo futuro» commenta il regista.

La commedia di Scarpetta domina la scena teatrale della Napoli di inizio Novecento. La platea ricolma vuole ammirare quel personaggio dalla faccia dipinta e la camminata traballante. Di fianco al padre, Eduardo recita la sua parte per lo stipendio quotidiano, senza trattenere però qualche sguardo tra la noia e lo sdegno. È la visione di Sette personaggi in cerca d’autore di Pirandello a smuovere la sua sedentarietà. «Eduardo ha sempre travalicato i confini che la sua famiglia aveva tracciato per lui». Fugge a Milano, vuole essere qualcun altro, abbandona la comicità e ripudia il suo passato.

Video di Niccolò Ferrero

Al suo ritorno la famiglia Scarpetta lo accoglie senza dimenticarne il tradimento. Durante la sua assenza, Peppino riuscì a cavalcare l’onda del vuoto lasciato per sostituire il fratello e conoscere la fama. «Il distacco, la crescita da remoto aveva tracciato nel fratello delle ferite che avevano provocato una distanza incolmabile». L’invidia dell’importanza e della genialità di Eduardo consumava Peppino battuta dopo battuta. Titina osservava i due fratelli scontrarsi nei loro continui impatti fisici e verbali, mentre dentro di sé era annebbiata da un conflitto privato. Un corpo diverso dalle soubrettes che dominavano la scena. Il disagio delle forme e della povertà simbolica dei peli sotto le ascelle. In fondo, una vera e proprio «proto-femminista».

Sergio Rubini unisce in 139 minuti e 48 giorni di riprese più di otto anni di lavoro. «La mia missione non era tanto raccontare De Filippo, quanto il defilippismo, il suo pensiero, il suo essere. Mettere in scena la sua famiglia era indispensabile perché ciò che era si è formato in quelle trame del passato». Nel film si fondono comicità e dramma in una risata dalle sfumature amare, ricalcando la stessa riflessione che De Filippo voleva sviluppare nello spettatore.

Simbolo di una tradizione novecentesca che rischia di scomparire nell’ombra dei giorni trascorsi, con i suoi testi, la sua vita e il suo corpo, Eduardo De Filippo si è disegnato un posto nei classici italiani, ai quali, «per via delle fragilità del nostro tempo, siamo sempre più portati a riscoprire». Infatti, per Sergio Rubini, la situazione culturale ha subito uno stravolgimento. «Abbiamo finalmente abbandonato il “rottamare” a favore del rintracciare i valori di ciò che è trascorso. Sta cominciando una trasformazione della narrazione e questa è tutto ciò di cui ci nutriamo».