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Esclusiva

Aprile 5 2022
La vita di Stefano non valeva 12 anni di carcere

La condanna definitiva per gli autori del pestaggio che portò alla morte di Cucchi non convince il Nuovo sindacato dei Carabinieri

«Con tutto il rispetto per la famiglia Cucchi, dodici anni sono troppi per un omicidio preterintenzionale». Con questa sentenza che si sovrappone a quella pronunciata il 4 aprile dalla Cassazione, Massimiliano Zetti, Segretario generale del Nuovo sindacato Carabinieri (Nsc), commenta l’ultimo atto del processo per l’omicidio del geometra romano.

Non sembra soddisfare le aspettative l’epilogo di una vicenda giudiziaria che è rimasta in piedi per quasi tredici anni. Almeno quelle del sindacato dell’Arma dei Carabinieri. La pena a dodici anni di carcere cui sono stati condannati Alessio Di Bernardo e Raffaele D’Alessandro, i due carabinieri responsabili del pestaggio, sarebbero troppi, a detta del segretario Zetti, se confrontati con altre sentenze. «Purtroppo assistiamo a delle sentenze di omicidi non preterintenzionali, ma che sono abbastanza più tenui rispetto a questa».

Quasi tredici anni, due processi, una commissione di inchiesta parlamentare, le foto dei lividi sul corpo di Stefano. «Possiamo dire che è stato ucciso di botte, che giustizia è stata fatta nei confronti di coloro che ce l’hanno portato via» ha detto Ilaria Cucchi, appena dopo la sentenza. Eppure secondo il sindacato dei Carabinieri non c’era il chiaro intento di uccidere: «Non ho letto gli atti ma immagino che i due colleghi siano stati accusati di aver percosso il Cucchi e le percosse non erano tali da esprimere chiaramente l’intento di ucciderlo. Poi sappiamo che purtroppo Cucchi è morto certamente a causa dei traumi riportati».

A spiegare la gravità della pena inflitta a D’Alessandro e Di Bernardo sarebbe, sempre secondo Zetti, il clamore mediatico sollevato dalla vicenda «forse a causa di alcune cose non chiare, accadute all’inizio». Anche se non manca di specificare che «la Cassazione in genere è scevra da pressioni esterne provenienti dall’opinione pubblica».

Un processo che è stato «un’odissea giudiziaria», ma non per la famiglia Cucchi. «Il mio pensiero corre ai primi che subirono il processo ed erano innocenti: gli agenti della penitenziaria e i medici, imputati nel processo che, poi, vennero assolti perché erano innocenti». Nel primo processo la Corte d’Assise dichiarò gli imputati assolti dall’accusa di omissione di soccorso, ma la Cassazione ordinò la revisione. La successiva sentenza della Corte d’Assise assolse uno dei medici coinvolti per non aver commesso il fatto mentre gli altri furono prosciolti perché il reato era, nel frattempo, caduto in prescrizione.

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L’epilogo del secondo processo, partito dopo la denuncia di Francesco Tedesco e di Roberto Mandolini «che hanno parlato aiutando a ricostruire la verità», è stato scritto dalla Cassazione. I due responsabili del pestaggio costato la vita a Stefano Cucchi si sono costituiti nella mattina del 5 aprile 2022 presso la Caserma di Santa Maria Capua Vetere, pronti a scontare la condanna.

Eccessiva, a detta del sindacato dei carabinieri, eppure esemplare: «La speranza è che il caso della morte di Cucchi abbia stabilito una volta per tutte che nessun comportamento fuori dalla legge può essere attuato da chi si veste in uniforme. Per cui anche la semplice percossa non è accettabile ed è da condannare, questo è senza nessun dubbio. Quindi si spera che la condanna entri a far di una coscienza collettiva e che faccia capire che le norme esistono e ci si deve attenere a quelle».