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Esclusiva

Aprile 5 2022
I «macellai» di Mosca sono criminali di guerra

Dopo il ritiro delle truppe russe dalla regione di Kiev, a Bucha emerge l’orrore della guerra, mentre la Russia non ammette le sue responsabilità

I cadaveri sparsi per le strade di Bucha non dovrebbero far sorgere alcun dubbio sulla veridicità delle atroci immagini, che hanno sconvolto l’Occidente. Le mani legate dietro la schiena e i fori nella nuca dei corpi accasciati per terra non dovrebbero lasciare incertezze riguardo la natura di queste morti. Eppure la Russia nega ogni suo coinvolgimento in questo massacro. È l’ennesimo esempio di un utilizzo della propaganda, che cerca di salvare l’immagine dei russi da quella di «macellai» di civili. Così li ha definiti il presidente ucraino Volodymyr Zelensky.

Una definizione da cui Mosca cerca di distanziarsi, accusando USA, NATO e la stessa Ucraina di aver inscenato la strage dei cittadini. Sarebbe una «messinscena dell’Occidente» per il ministro degli Esteri russo, Serghei Lavrov, una «provocazione di Kiev» per la portavoce del ministero degli Esteri, Maria Zakharova. «Nel tempo in cui la città è stata sotto il controllo delle forze armate russe», si legge, poi, nel comunicato del ministero della Difesa russo «nessun cittadino locale è stato vittima di azioni violente».

Le immagini satellitari, però, confermano un’altra versione dei fatti. La società privata statunitense Maxar Technologies ha scattato due foto nell’area di Bucha, il 10 e il 31 marzo, a ridosso del ritiro delle truppe russe. La fossa comune vicino alla Chiesa di Sant’Andrea che, nella seconda foto, sembra esser lunga 14 metri, risulta già in costruzione all’inizio del mese, quando la cittadina era ancora occupata dall’esercito invasore.

I «macellai» di Mosca sono criminali di guerra
Immagine del 10 marzo
I «macellai» di Mosca sono criminali di guerra
Immagine del 31 marzo

Anche il New York Times ha contribuito a smentire le dichiarazioni di Mosca, pubblicando, in esclusiva, immagini satellitari risalenti all’11 marzo, in cui sono visibili i cadaveri di undici civili. Secondo le analisi del Visual Investigations Team, i corpi sarebbero stati abbandonati per strada per circa tre settimane e alcuni di questi presenterebbero le mani legate dietro la schiena con un panno bianco. Elemento che non solo ritorna nelle foto scattate a Bucha negli ultimi giorni, ma anche nell’uccisione della sindaca di Motyzhyn – villaggio a ovest di Kiev – e della sua famiglia. Come se questo fosse il modus operandi seguito dai soldati russi nelle loro esecuzioni mortali.

Per il Cremlino, neanche le testimonianze dei sopravvissuti al massacro sono sufficienti per scalfire le sue argomentazioni. «Non potete escludere che quelle parole siano state costruite. C’è una messa in scena», ha detto l’ambasciatore russo all’Onu Vasily Nebenzya a chi gli chiedeva se ritenesse false anche le dichiarazioni dei parenti dei civili uccisi.

Le foto dei reporter accorsi sul posto obbligano a non chiudere gli occhi. «Guardatelo bene il corpo al centro. è un bambino. Bucha, oggi.», scrive su Twitter la giornalista e inviata di guerra Francesca Mannocchi, che ha deciso di pubblicare l’immagine di corpi carbonizzati e abbandonati per strada.

Santi Palacios, invece, è stato tra i primi foto giornalisti ad arrivare e a fotografare i resti della città. I suoi scatti restituiscono la drammaticità di quanto accaduto. I cadaveri sono riversi lungo la via, hanno le mani legate e i volti sfigurati.

C’è, poi, il giornalista del The Economist Oliver Carroll, che, sul suo profilo Twitter, ha pubblicato la foto di una fossa comune in cui sarebbero state seppellite 280 persone.

«Quello di Bucha è il più grave di una serie di crimini di guerra, che anche Amnesty International ha verificato nei primi quaranta giorni di questo conflitto», afferma Riccardo Noury, portavoce italiano dell’organizzazione internazionale. «Vorremmo tutti sperare che non ci saranno altri casi come questo, ma ne dubito. C’era qualcuno che si illudeva che sarebbe stata una guerra di eserciti. Questa, però, è una guerra come tutte le altre, in cui si prendono come bersagli anche gli obiettivi e le infrastrutture civili».

Di fronte all’impatto emotivo causato dalle foto del massacro di Bucha non si può e non si deve rimanere fermi. «Dalle emozioni bisogna passare alle azioni politiche, valutando opzioni come il rafforzamento delle sanzioni o altro ancora». Adesso, nell’attesa di un’indagine del Tribunale Penale Internazionale, è necessaria un’inchiesta rapida e indipendente che raccolga le prove e le conservi.

Le immagini, sia quelle riprodotte su carta stampata che quelle fisse nella memoria, possono essere testimonianze importanti di eventi come le guerre, perché restituiscono il senso di quanto accaduto e permettono di ricordarlo.

«Sono passati trent’anni dall’inizio della guerra in Bosnia Erzegovina», conclude Noury. Di fronte alle foto delle vittime, però, le differenze tra i due conflitti si annullano. Nei primi mesi di quella guerra lì, nei villaggi, nei piccoli centri della Bosnia a maggioranza musulmana, c’erano stragi di civili, con corpi trovati in mezzo alla strada e negli scantinati. Le fosse comuni, invece, venivano scoperte molto dopo, perché c’era più scaltrezza nell’occultarle. Questa volta, sembra che sia stato fatto tutto quanto o con molta fretta, oppure con un tale cinismo da immaginare che i russi sarebbero rimasti impuniti, che la reazione sarebbe stata blanda o che, addirittura, avrebbero prevalso le tesi negazioniste della Russia e di tutti coloro che le ripropongono. Anche in Italia, purtroppo, non sono pochi».

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