Editoriale di presentazione di Enzo Panizio
Parlare di corpo oggi risponde al desiderio di una riscoperta. Dopo due anni di distanziamento, di isolamento a singhiozzo, provare a centralizzare la nostra sfera fisica e individuale è un atto necessario per muovere verso il futuro a passo deciso. È il tentativo di un’avventurosa riconquista di sé stessi.
Il corpo è la porzione di materia nella quale la nostra anima alberga sin dal primo vagito. È il modo che ci permette di conoscere la realtà circostante, di interagire con i nostri simili. Il corpo è senso, è mani, è voce. È il mezzo grazie al quale la nostra personalità può manifestarsi all’esterno. È arte viva. Il corpo è la sola opportunità che abbiamo di lasciare un segno, di cambiare la realtà, di comunicare.
In esso si nasconde il mistero ancora inesplorabile della nostra stessa natura. In molte dottrine religiose rappresenta la nostra parte più corruttibile e viziata, in altre è invece la sede stessa della spiritualità, inseparabile dal nostro essere immortale. «Io sono corpo e niente altro all’infuori di ciò: e l’anima non è altro che una parola per significar qualche cosa che si trova nel corpo» ha scritto Friedrich Nietzsche. «Il corpo è un grande sistema, una cosa molteplice con un senso solo: è guerra e pace, gregge e pastore».
Nel terzo numero del nostro periodico abbiamo provato a raccontare questa complessità e le sue sfaccettature. Il corpo è la memoria delle nostre battaglie, la loro testimonianza tangibile. Racconta storie di protesta, di lotta, di emancipazione. Il corpo è cicatrici, tatuaggi, dolore. È culto, benessere, competizione. Il corpo è forse tutto quello che abbiamo. E per questo è talvolta anche una prigione dalla quale è impossibile evadere: insufficiente a rappresentarci, colpevole di inadeguatezza.
Siamo corpi. Nel bene e nel male, nella vita e nella morte. Gli avvenimenti degli ultimi anni ci hanno forse abituati alle accezioni più avvilenti del termine: ci siamo educati alla distanza, a relazioni incorporee e mediate, ci stiamo abituando a sentire parlare di corpi come sinonimo di vittime di conflitti e violenze. Noi che viviamo e raccontiamo questi tempi, però, abbiamo il dovere di ricordare a noi stessi che siamo tante cose allo stesso tempo. Raccontarle oggi ci sembra l’augurio di potere riscoprirle tutte, presto e con ritrovata serenità.