Creare un contatto con un amico, anche se non parla con noi, è possibile. È il nostro cervello che ci guida attraverso i neuroni. Così possiamo aiutare l’altro, «capire perché soffre per intervenire», spiega il neuroscienziato Leonardo Fogassi, professore ordinario di fisiologia all’Università degli Studi di Parma. «Ci sono specifici “neuroni specchio” che si attivano non solo nella persona che compie un’azione, ma anche in chi la osserva».
Sono una funzione essenziale del nostro cervello – scoperta nel 1992 da Fogassi, insieme a, tra gli altri, Giuseppe di Pellegrino, Luciano Fadiga, Vittorio Gallese e Giacomo Rizzolatti – perché «è come se facessi e sentissi quello che l’altro fa o prova» chiarisce Fogassi.
Aggrottare la fronte, inarcare le sopracciglia, abbassare la testa innesca «reazioni simili in chi osserva perché già programmate nel suo cervello». È così che posso «comprendere le azioni e le emozioni altrui». Mi connetto con l’altro attraverso «particolari neuroni legati all’empatia» intesa soltanto come «comprensione senza alcuna coloritura, partecipazione all’emozione dell’altro» continua il neuroscienziato.
«Le variabili, come il contesto e lo stato emotivo in cui ci troviamo possono influenzare i miei sentimenti. La comprensione e la reazione di cosa osservo sono due concetti differenti» afferma Fogassi.
Secondo uno studio «esiste una “sindrome della condotta”. È stato visto ad esempio in violenti – con tendenza omicida o suicida e che non comprendono le conseguenze delle proprie azioni – un livello di empatia più alto rispetto ad altri, nell’osservare una situazione. Probabilmente si tratta di una iperattivazione legata ad un’incapacità di controllo delle emozioni» continua il neuroscienziato. Posso comprendere il tuo stato, ma non essere catturato dalle emozioni e quindi reagire in maniera non adeguata.
Ma allora come ti aiuto? Fogassi conclude che «l’empatia non può essere modulata, sotto questo profilo, perché è un meccanismo che ci accompagna da quando siamo nati, ma possiamo agire su altre competenze, come l’intelligenza emotiva». I professori Peter Salovey e John D. Mayer definiscono questa intelligenza – nel loro articolo “Emotional Intelligence” del 1990 – come «la capacità di controllare i sentimenti ed emozioni proprie ed altrui, distinguerle tra di esse e di utilizzare queste informazioni per guidare i propri pensieri e le proprie azioni».
È il dialogo delle emozioni che suscita il film d’animazione della Pixar Inside Out. La protagonista Riley si trasferisce, a causa del lavoro del padre, da Midwest a San Francisco. La piccola prova Gioia, Paura, Rabbia, Disgusto e Tristezza, che vivono nel “Quartier Generale, il centro di controllo nella mente”. Quando in lacrime comunica ai genitori la “nostalgia di casa” questi si riconoscono nella stessa emozione.
Così anche lo sfogo di un amico acquista un significato. È la capacità di sentire l’altro dentro di noi, come scrive Charles Darwin «la compassione e l’empatia per il più piccolo degli animali è una delle più nobili virtù che un uomo possa ricevere in dono».
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