È il Ferragosto del 1962, Roma è ancora in bianco e nero. Sullo schermo assolato un’auto si aggira per la città deserta, seguita dalla coda di un sassofono che va trionfando in sottofondo. Inizia così Il Sorpasso, il primo road movie della storia del cinema italiano, che porta la firma di Dino Risi. Al volante della sua Lancia Aurelia B24, in pieno giorno, un uomo di nome Bruno va in cerca di un distributore di sigarette e di un telefono pubblico. Che se fosse mezzanotte e non fosse Ferragosto, potrebbe anche essere l’uomo in frack di Domenico Modugno.
“Posso usare il telefono?”: è così che in punta di fioretto Bruno Cortona si prende la scena e sorprende Roberto, studente di legge al quarto anno, rimasto in città, nel proprio appartamento, per preparare l’esame di procedura civile. Dal momento in cui Bruno – un Vittorio Gassman in forma splendente – avrà varcato la soglia del suo soggiorno, non sarà più possibile per Roberto – un giovanissimo Jean-Louis Trintignant – opporsi all’esuberanza di quel “fanfarone” sconosciuto e irresistibile, alla ricerca di chiunque pur di festeggiare quel 15 di agosto come tutti gli altri giorni. Senza solitudine.
piangi piangi, che ti compero una lunga spada blu di plastica, un frigorifero
Bosch in miniatura, un salvadanaio di terracotta, un quaderno
con tredici righe, un’azione della Montecatini:piangi piangi, che ti compero
una piccola maschera antigas, un flacone di sciroppo ricostituente,
un robot, un catechismo con illustrazioni a colori, una carta geografica
con bandiere vittoriose:
Bruno e Roberto, insieme, intraprenderanno un viaggio verso il mare, giocato sul filo dei 130 km\h e a doppio filo legato al nome di un’auto e di una strada consolare, l’Aurelia, capace di portare – a furia di sorpassi e condomini in cemento – l’Italia fuori dalle rovine della seconda guerra mondiale e dentro il boom economico degli anni 60, fatto di amore per la velocità e ribrezzo per i ciclisti; di televisioni, frigoriferi e vacanze con le pinne, il fucile e gli occhiali.
piangi piangi, che ti compero un grosso capidoglio
di gomma piuma, un albero di Natale, un pirata con una gamba
di legno, un coltello a serramanico, una bella scheggia di una bella
bomba a mano:piangi piangi, che ti compero tanti francobolli
dell’Algeria francese, tanti succhi di frutta, tante teste di legno,
tante teste di moro, tante teste di morto:
Aurelia, dunque. L’auto e la strada protagoniste de Il Sorpasso portano, non casualmente, lo stesso nome. E simboleggiano la stessa idea di evasione, di benessere, di trasformazione. La Via Aurelia è la strada consolare lungo la quale si annoda e si snoda “il giretto” di Bruno e di Roberto: dopo essersi staccata dal centro di Roma, l’Aurelia attraversa dapprima i nuovi quartieri borghesi in espansione – come la Balduina, quartiere simbolo del boom economico nella capitale, dove Il Sorpasso ha inizio – in seguito fiancheggia le borgate popolari, e infine si abbandona verso le riviere argentate di Fregene, di Capalbio, di Castiglioncello, sorpassate le quali finisce.
La Lancia Aurelia B24, concepita da Gianni Lancia e dalla Pininfarina per canonizzare le idee di eleganza e di raffinatezza, ben presto avrebbe tradito le aspettative, finendo vittima dell’impatto grottesco con la collettività. Truccata nel motore e negli allestimenti, derisa dal klakson tritonale montatole a bordo da Dino Risi, la Lancia Aurelia diviene simbolo di aggressività e di prepotenza e finisce a pezzi contro una scogliera. il naufragio di un’idea – quella di benessere economico, collettivo e generalizzato – che si infrange nel consumismo sfrenato, amorale, impersonale, nel “piangi piangi” generale in cui Bruno congederà Roberto, finito in fondo alla scarpata di Calafuria, senza vita e senza cognome.
oh ridi ridi, che ti compero
Edoardo Sanguineti
un fratellino: che così tu lo chiami per nome: che così tu lo chiami
Michele
Leggi anche: Green new city, il futuro delle città