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Esclusiva

Luglio 2 2022
«Il Pontefice di frontiera»

La riflessione di Dante Monda sul paradigma del “popolo” secondo Papa Francesco: da questione filosofica a oggetto centrale delle sue encicliche e della sua Chiesa

Jorge Mario Bergoglio non è rivoluzionario, ma è pop. Pop come i Beatles se, come afferma Dante Monda, con l’espressione si intende un soggetto «che aggrega e resta nel tempo, fino a diventare un classico a cui tornare, perché crea identità condivisa». Così nel saggio Papa Francesco e il ‘popolo’. Una sfida per la Chiesa e la democrazia (Ed. Morcelliana, 2022), Monda spiega cos’è il concetto di «popolare» e di «mito del popolo» secondo il Pontefice e perché si tratta di una questione centrale nella narrazione della sua Chiesa: «i gruppi umani hanno bisogno di qualcosa per stare insieme, qualcosa che li leghi e superi la somma delle individualità, degli interessi delle funzioni e quella cosa si può chiamare popolo».

È una riflessione che nasce dal lavoro di tesi in relazioni internazionali e Global justice con il professore Sebastiano Maffettone presso la Luiss Guido Carli e dalla «sensazione crescente per cui, anche in un sistema politico e sociale oliato e funzionante, manchi spesso qualcosa che l’approccio narrativo può spiegare meglio di quello scientifico o fisico».

Papa Francesco e il popolo. Dante Monda

Da qui il senso e il ricorso al mito, all’eccedenza oltre la logica e agli «archetipi infiniti o le tradizioni che si tramandano anche quando sembrano dimenticate, alimentando il senso di appartenenza». In Occidente la trama del mito si è tuttavia sfibrata, come afferma il giornalista e teologo Antonio Spadaro nella prefazione. Diventa così necessaria una nuova tessitura, una nuova visione, che fa da perno alla ricerca di Monda: il popolo non esiste in sé, si crea nel mito, si fa. Il farsi popolo implica una scelta e un riconoscimento dell’altro, «un continuo rapporto con l’alterità» da non pensare in termini omologanti, che annullino le differenze.

È un tema complesso, considerando sia le implicazioni anticolonialiste di questo discorso sia l’alterità dello stesso Bergoglio, argentino, rispetto alla Chiesa europea, due identità che convivono in tensione. Secondo Monda, Francesco è un Papa «molte volte frainteso, in quanto sudamericano, etichettato come lontano e provinciale, nell’accezione negativa del termine. Proprio perché è lontano, invece, può guardare lontano. È di frontiera, non di provincia». Il suo sguardo, rivolto più ai confini che al centro, è la conseguenza di una Chiesa che Francesco chiama dialogante e che, proprio perché non europea, «non sogna di egemonizzare le masse o la società, ma si sente legata al popolo», scrive Andrea Riccardi – fondatore della comunità Sant’Egidio – nella postfazione del volume. Il Cristianesimo di Bergoglio rifiuta perciò qualsiasi soluzione sovraculturale che non sia in grado di rispettare le identità collettive e al tempo stesso definisce un’idea onnicomprensiva di popolo, come spiegato nell’enciclica Fratelli tutti (2020): «è molto difficile progettare qualcosa di grande a lungo termine se non si ottiene che diventi un sogno collettivo. Tutto ciò trova espressione nel sostantivo ‘popolo’ e nell’aggettivo ‘popolare’». Aggettivo che differisce in profondità da populista e da qualsiasi identitarismo nazionalistico che tende a chiudersi, a rifiutare l’incontro anziché aprirsi al dialogo e farsi simile all’altro ossia, ancora una volta, scegliere di farsi popolo.

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