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Esclusiva

Settembre 5 2022
Giovani, entusiasmo senza prospettive

Tre laureate raccontano la loro vita dopo l’università, tra contratti a termine e mancanza di certezze per il futuro

«Tutti i miei colleghi universitari erano persone interessate, appassionate. La mancanza di prospettiva però ammazza l’entusiasmo. Nessuno ti prepara a quello che viene dopo la corona d’alloro». Andrea, laureata in scienze filosofiche all’Università di Bologna, riassume così l’esperienza di molti giovani che, finito il percorso universitario, cercano il loro posto nel mondo del lavoro.

Frustrazione, smarrimento, ansia. L’incertezza per il futuro e la sensazione di entrare in un mondo interessato a sfruttare le tue potenzialità, più che a valorizzarle. Questi sentimenti affiorano come un filo a legare le parole di chi, venendo da mondi accademici differenti, vive il periodo di transizione che dovrebbe portare verso l’autonomia che solo un’occupazione stabile e retribuita adeguatamente può garantire.

Prima della pandemia Andrea aveva immaginato il suo futuro nell’ambiente accademico. La tesi all’estero doveva aprirle le porte del dottorato, ma adesso il progetto è almeno rimandato. «Non essere più uno studente ti pone davanti ad alcune domande. Rischio? Vado avanti? Posso permettermi di rimanere nella precarietà economica? Se hai dei genitori che possono aiutarti è più semplice. Se non hai un sostegno hai più paura. Devi prima appianare le difficoltà di tipo materiale».

Ma il lavoro toglie tempo alla preparazione e, anche ammettendo di riuscire a vincere il dottorato, una volta concluso il periodo di ricerca, «sei solo una persona con un titolo in più, senza garanzie». Così dopo la laurea Andrea ha svolto lavori nella ristorazione. «Ho fatto la stagione in un albergo a Milano Marittima e dopo sono andata a lavorare in un bar di Bologna. In entrambi i casi venivo pagata 5 euro l’ora».

Nonostante la paga bassa e l’assenza di tutele è stata l’unica via immediata che le permettesse di avere la certezza di poter pagare l’affitto ogni mese. Andrea non si sente l’eccezione. «L’unica persona del mio gruppo di ex colleghi di facoltà che può continuare serena sulla strada della carriera accademica è quella che ha basi economiche familiari solide. Un ragazzo, che può fare quello che gli piace senza pensare ad altro perché sa di avere le spalle coperte dal punto di vista economico».

La capacità di supporto materiale da parte della famiglia di provenienza è un elemento importante anche nell’esperienza di Paola, laureatasi in giurisprudenza nell’aprile 2019 all’Università di Pisa. Per il suo futuro si augura una carriera nella magistratura, per questo dopo la laurea ha iniziato un tirocinio presso il tribunale per minori di Firenze. Il periodo di stage è una delle opzioni obbligatorie per poter accedere al concorso indetto dal ministero della Giustizia, ma durante quei 18 mesi non è previsto alcun compenso.

«L’unica possibilità è fare richiesta per una borsa di studio emessa dal ministero della Giustizia. Non si tratta, però, di un contributo che viene erogato ogni mese, ma l’anno successivo rispetto al periodo del tuo tirocinio». Non certo una soluzione che permette di raggiungere una propria autonomia, sia per l’entità della somma che viene versata, circa 400 euro per mese di tirocinio, sia per il fatto che viene eventualmente erogata a distanza di un anno.

La preparazione universitaria, poi, è insufficiente a sostenere le tre prove di esame scritto e l’eventuale prova orale che regolano l’accesso alla carriera in magistratura. Molti si affidano a corsi a pagamento pensati appositamente allo scopo. «Sono corsi non economici, bisogna poterselo permettere. Io, per esempio, ne frequento uno che ha una durata minore di un anno e lo pago usando la borsa di studio presa nel periodo di tirocinio».

Ma un sistema di questo tipo non può essere considerato meritocratico. «Non tutti possono arrivare alle prove con gli stessi strumenti. Ci sono persone che riescono a frequentare i corsi per un anno, altri per tre anni, altri non possono proprio permetterseli. Le somme richieste rispecchiano l’offerta formativa dei corsi ma non tutti le hanno a disposizione».  

Non sono solo l’attesa e l’incertezza possono rendere faticoso il periodo di transizione dal mondo dell’università a quello del lavoro.

Francesca si è laureata in infermieristica a Pisa il 18 marzo 2020, all’inizio della prima ondata della pandemia. Quattro giorni dopo lavorava in un reparto di terapia intensiva per malati covid dell’Ospedale Cisanello. «Il personale sanitario era insufficiente. Per questo hanno buttato dentro il reparto noi neolaureati, ma non eravamo preparati alla responsabilità che ci è stata attribuita in modo repentino». 

Tutti i giovani, circa 50, impiegati nell’ospedale pisano in quel periodo sono stati assunti con contratti interinali che venivano rinnovati ogni tre mesi. «Eravamo numeri, non persone. Il primo giorno, alla presentazione, il responsabile ci ha detto di fare quello che potevamo, che la situazione era critica. Poi siamo stati lasciati soli».

I primi mesi di lavoro di Francesca sono stati traumatici. La velocità con cui tutto è avvenuto è stata determinante nell’aumentare lo stress del ruolo. «Non ho avuto il tempo di capire cosa stessi facendo. Nell’arco di una settimana mi è cambiata la vita». Per i giovani appena entrati in reparto non è stata prevista nessuna forma di supporto, pratico o psicologico. Ma la pressione era forte su entrambi i fronti. Durante quei primi mesi di lavoro Francesca si è sentita «allo sbando». Di quel periodo non ricorda molto, i colleghi che svenivano sotto gli strati delle tute protettive e i tanti pazienti morti.

«Alla morte non ci si abitua mai. Ho avuto problemi nella gestione del sonno, ho iniziato un percorso di terapia».

Francesca ha poi vinto un concorso che le è valso un contratto a tempo indeterminato. Alcuni dei suoi colleghi sono rimasti a lavorare da interinali, senza diritto a ferie o malattia, in attesa di qualcosa di meglio.

I giovani di oggi, per qualcuno “sdraiati”, secondo altri “choosy”, che fanno il loro meglio per trovare l’equilibrio in un mondo precario.