«Se Francesco avesse avuto la stessa coscienza di suo padre Bernardone, questo posto oggi non esisterebbe. Quando venne qui, tane, ruderi e grotte erano le sue dimore, dopo aver lasciato la sua famiglia: oggi sarebbe un hippie, più o meno». Dal 1981, Marco Solari è l’eccentrico proprietario e abitante della Scarzuola, un complesso architettonico costruito sui resti del convento fondato da San Francesco d’Assisi nel 1218 nei pressi di Montegabbione (Terni), che deve il suo nome alla scarza, pianta del posto con cui il santo costruì una capanna in cui rifugiarsi, e la sua fama alla simbologia esoterica.
Il colpo di fulmine (o di genio) di Tomaso Buzzi
Inizialmente di proprietà della famiglia Conti di Marsciano, il convento era gestito dai frati francescani che vi abitarono fino al secondo dopoguerra, «quando misero in vendita il rudere e nel 1956 trovarono il pollo che lo acquistò: il professor Tomaso Buzzi di Milano, mio zio». Tra i principali architetti e designer del Novecento, Buzzi collaborò a lungo con Gio Ponti alla rivista Domus e fondò il Club degli Urbanisti, partecipando nel 1926 al concorso per il piano regolatore di Milano con il progetto Forma Urbis Mediolani. Molto richiesto dalla borghesia meneghina, Buzzi era anche un grande appassionato e studioso di esoterismo e simbologia massonica, che riversò in ogni dettaglio della sua magna opera, rimasta incompiuta e completata da suo nipote Marco. «Buzzi non venne mai ad abitare qui, ma vi abiterà il suo didimo: quella parte di voi che non addomesticherete mai. Avete presente Il piccolo principe? La volpe deve essere addomesticata perché se non l’addomestichi tutti i giorni, non troverai mai Dio».
L’inizio del viaggio esoterico interiore
Quando si varca la soglia della Scarzuola si è consapevoli del fatto che un incontro tanto illustre non avverrà mai, ma non lo si è pienamente del fascino che è in grado di trasmettere. Davanti ad un asse di legno, raffigurante un giullare perché «Francesco diceva di essere il giullare di Dio», inizia il viaggio che porterà alla conoscenza di sé attraverso la riunificazione del diabolico (“ciò che è diviso”) con l’amor, ispirato alla navigazione intrapresa da Polifilo nell’opera di Francesco Colonna Hypnerotomachia Poliphili del 1499. Il protagonista cerca la sua controparte femminile (Polia) in sogno, ma per trovarla dovrà muovere guerra e approdare a Citèra, l’isola di Venere. Dopo averla trovata, potrà finalmente riunificarla al diabolico e completare il suo percorso interiore. Non a caso, la struttura della Scarzuola ricorda quella di un galeone, dove campeggia l’Acropoli: una riproduzione delle meraviglie dell’antichità come il Partenone, il Colosseo, l’Arco di Trionfo e il tempio di Vesta rappresenta le virtù dell’uomo, che sovrastano le prigioni sotterranee, la cui entrata ricorda il parco dei mostri di Bomarzo e in cui albergano i vizi da tenere a bada.
Ma prima di arrivare alla luce della conoscenza di sé, l’uomo deve affrontare un percorso buio e silenzioso, come quello che accomuna Giona e Pinocchio: essere inghiottiti dalla balena, per poi uscirne trasformati (rispettivamente, in profeta di Ninive e bambino in carne ed ossa). Un percorso che si compie «iniziando dall’origine di tutto: l’organo genitale femminile, perché l’energia femminile mi aiuta a capire chi sono», alla quale prima Buzzi e poi Solari rendono omaggio attraverso la statua/polena del galeone La Grande Madre.
Dopo essere usciti dalla porta Amor vincit omnia, il viaggio interiore si conclude ai piedi della torre di Babele, che protegge la fragile piramide di vetro, custode della scala musicale delle sette ottave. Un omaggio ad un’altra forma di amore: quella che Buzzi nutriva per il violino.
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