La finale dei mondiali di calcio la guarderemo con l’albero di Natale in salotto. Sin dalla sua fondazione nel 1930 la Coppa del Mondo si è sempre giocata d’estate, ma il feroce caldo del Qatar, e 200 miliardi di investimenti, hanno persuaso la FIFA a spostarli nella stagione invernale, con pausa forzata ai campionati. La novità non spegne l’entusiasmo di Aldo Serena, centravanti della nazionale italiana bronzo al Mondiale 1990, che in carriera ha vestito le maglie di Inter, Milan, Juve e Torino, vincendo 4 scudetti, una Coppa Uefa e una Intercontinentale, più il titolo di capocannoniere della Serie A 1989 nell’Inter dei record del Mister Trapattoni.
Serena, la stanno appassionando questi mondiali nel deserto?
«Io ho sempre vissuto il calcio da quando ero piccolo, da calciatore prima e da commentatore poi. Non posso non seguire i grandi eventi, ma avrei fatto a meno di giocare in inverno perché è tradizione seguire i mondiali d’estate, con un’atmosfera diversa. Così si concentra la competizione, giocando ogni tre giorni».
Questo può spiegare gli infortuni visti?
«I calendari sia in Europa che in Sud America sono concentratissimi, quindi è più facile che ci siano infortuni sia muscolari che di contatto. Non hai tempo per allenarti».
Entrando nella competizione: qual è la sorpresa finora a suo giudizio?
«Puntavo molto sul Senegal, anche senza Sadio Manè, squadra simpatica e di qualità, ma purtroppo si son fermati agli ottavi, contro l’Inghilterra. La concretezza del Marocco, invece, ha fatto raggiungere alla squadra di Hakimi nuovi traguardi. Mi ha colpito l’entusiasmo dei marocchini nell’ottavo contro la Spagna. Si percepiva anche dalla TV un passaggio formidabile di emozioni, tra giocatori e tifosi. Erano stanchi, ma volevano portare a casa i quarti e ce l’hanno fatta, dopo 120 minuti di mutuo soccorso in cui sono riusciti a non dare spazio ai talenti della Spagna di Luis Enrique».
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E la delusione?
«La Germania. L’avevo pronosticata tra le mie quattro semifinaliste insieme a Brasile, Argentina, e Francia e invece sono usciti al girone, per la seconda volta di fila. I tedeschi hanno trequartisti incredibili, manca invece la punta di rilievo, sempre avuta nella loro storia».
Il giocatore che ha impressionato di più?
«Dire Mbappe è banale, ma mi sorprendono sempre la sua capacità di corsa e cambio di passo, al di là della normalità. E poi dico Jude Bellingham dell’Inghilterra, giovane che ha lo stigma del giocatore offensivo moderno, fisico, progressione e tecnica. Ma la stella di questo mondiale, e del futuro, è Mbappe».
La Svizzera, in Qatar al posto dell’Italia, è stata sommersa 6-1 dal Portogallo: questo ci ridimensiona ulteriormente?
«Inutile girare il coltello nella piaga. La matematica sportiva non funziona così. Preferisco sorvolare sul grande dispiacere di non essere al Mondiale per la seconda volta di fila, non giocando uno scontro diretto dal 2006».
Allora restiamo sul campo, con un Portogallo che ha dato spettacolo, lasciando in panchina un certo Cristiano Ronaldo…
«Il tempo passa. Per le stelle di prima grandezza la consapevolezza delle qualità che scemano può non essere così comprensibile: uno pensa di essere sempre quello di un tempo, invece bisogna accettare con saggezza il corso della vita. Ronaldo, da riserva, può ancora essere importante, anche se capisco che quando si è stati a lungo il campione amato è difficile da gestire».
Al contrario, Lionel Messi sembra il trascinatore di questa Argentina
«È un quadro diverso, sia “sociale” che tattico. Messi arretra molto rispetto a prima, fa l’arco che lancia la freccia, ovvero i compagni. Ronaldo non ha mai avuto quei compiti, non saprebbe nemmeno svolgerli, a causa di un ego debordante rispetto a Messi. L’argentino conta le stagioni, dà il suo contributo anche giocando con meno intensità e più lontano dalla porta. Due modi diversi di invecchiare».
In Qatar abbiamo seguito il mondiale delle proteste. Che impatto hanno avuto secondo lei?
«Stiamo andando verso una globalizzazione in cui, con un grande evento, c’è sempre chi ne vuole approfittare per creare proteste, a volte legittime, altre meno».
Lei ritiene che i giocatori debbano schierarsi politicamente?
«Sì, se si tratta di un gesto condiviso. Quando giocavo avevo un senso profondo della squadra e degli obiettivi da perseguire, quindi se ci sono un pensiero condiviso e un’idea forte di tutta la squadra è giusto manifestarli. Se lo fanno in due o tre no, perché dà l’idea di un frazionamento, anche ideologico. Meglio fare una cosa quando si è tutti d’accordo. Ma, attenzione, parlo del gruppo di calciatori, non di pressioni esterne da parte delle federazioni o altro».
Quale lezione portiamo via dal mondiale 2022?
«L’atteggiamento rispettoso del Giappone, giocatori, allenatore e pubblico (particolarmente apprezzato il gesto di lasciare spalti e spogliatori puliti dopo le partite). Vede, a volte la forma è sostanza. Quello giapponese è un atteggiamento a cui noi italiani dovremmo tendere, senza arrivarci».
Che cosa intende con “tendere senza arrivarci”?
«È una realtà di grande rispetto e di partecipazione alla cosa pubblica, ma che portata all’eccesso imbriglia magari la fantasia e il modo di vivere l’emozione. Noi abbiamo tanto da imparare, perché abbiamo pochissimo rispetto della cosa pubblica, ma dobbiamo farlo senza estremizzare».
Pronostico secco: chi vince?
«Sono stato anche criticato quando ho detto che a me, da prima punta, sarebbe piaciuto passare questi trenta giorni in mezzo all’attacco della Francia, campione in carica. Anche il Brasile tecnicamente è fantastico e so che statisticamente è molto difficile vincere due volte di fila, ma vedo la Francia molto avanti. E la finale potrebbe essere proprio Brasile-Francia…»