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Esclusiva

Gennaio 12 2023
L’inumanità in Libia, un tema ormai sdoganato

Dopo l’incarcerazione di manifestanti in Libia, il 10 gennaio è stato organizzato un sit-in di fronte alla sede dell’Unhcr di Roma

Free them all. E’ questo lo slogan dei sit-in organizzati in giro per il mondo per ricordare la violenta dispersione, avvenuta esattamente un anno fa, di un presidio di attivisti davanti alla sede dell’Unhcr di Tripoli. La manifestazione era stata organizzata da Refugees in Lybia per protestare contro l’incapacità di intervento della Ong in Libia in materia di tutela dei diritti umani dei rifugiati: il 10 gennaio 2022, dopo 120 giorni di presidio, i manifestanti sono stati dispersi e 600 di loro arrestati arbitrariamente. Alcuni si trovano ancora in carcere nel campo di detenzione di Ain Zara.

L’inumanità in Libia, un tema ormai sdoganato
Dalla pagina Instagram di Solidaritywithrefugeesinlibya

«Molti ragazzi che conosco hanno chiesto aiuto alle nazioni Unite e all’Unhcr per poter lasciare la Libia che non è un paese sicuro, eppure non sono mai stati aiutati». A parlare è Lam, un ragazzo che è scappato dal suo paese, il Sud Sudan, e per 5 anni ha vissuto in Libia, per la maggior parte del tempo in detenzione: nel 2021 anche lui ha preso parte alla protesta pacifica a Tripoli organizzata dai migranti contro la Ong. «Queste persone sono ignorate dall’Occidente, dall’Europa, dall’Italia, nessuno si interessa a loro, nessuno si interessa a noi. Nessuno parla delle persone che sono scappate dalla guerra, dei migranti che sono detenuti nei lager in Libia. Qual è il motivo per cui l’Unhcr, le Nazioni Unite stanno a Tripoli se non aiutano le persone che hanno lasciato il loro paese e non possono più tornarci? Se non lottano per le persone che vengono torturate, che vivono in un paese in cui la loro vita è continuamente in pericolo?»

Tra i compagni di Lam che hanno portato avanti la manifestazione pacifica, 250 sono ancora bloccati nel campo, e denunciano condizioni disumane. “Basta morti di stato!”, “Unhcr=unfair”, “No borders One people”, “Fuori tutti dalle galere”. Sono questi gli striscioni che gli organizzatori del sit-in hanno appeso fuori dalla sede dell’Unhcr di Roma: ognuno con in mano una candela, per ricordare chi ha perso la vita e chi ancora si trova detenuto in Libia.

L’inumanità in Libia, un tema ormai sdoganato
Dal video pubblicato da Refugees in Lybia

Infatti, «una volta deportati nel campo di detenzione di Ain Zara, i manifestanti ci hanno riferito di aver subito maltrattamenti, sfruttamenti e sono stati lasciati in condizioni di sete e fame» racconta a Zeta Sarita Fratini, rappresentante dell’Ong Mediterranea. La protesta di Tripoli è nata proprio da questo: dalla frustrazione, provata dai rifugiati, nel vedere che la presenza dell’Unhcr in Libia non sia mai riuscita a portare un vero cambiamento a tutela dei diritti umani, e che sotto ai loro occhi continuavano ad avvenire trattamenti inumani e degradanti, con torture abusi e incarcerazioni arbitrarie. E così, continua Fratini, «la protesta organizzata da Refugees in Lybia nel 2021, anche se non è stata la prima, è stata la prima manifestazione ad acquisire una voce propria, in cui i migranti sono stati i protagonisti della loro storia e sono riusciti a coinvolgere altri nella loro condizione».

Al sit-in partecipa anche Josef Yemane, attivista di Black Lives Matter Roma, che ricorda a Zeta l’importanza e la necessità di prendere parte a queste manifestazioni di solidarietà. «Oggi sono qui innanzitutto per il coraggio che hanno mostrato questi migranti che hanno formato questa associazione Refugees welcome Lybia che hanno fatto oltre 100 giorni di manifestazione continua, in Libia, un paese in cui non è libera la manifestazione, perché ti sparano o peggio ti mettono in un lager».

La questione dei diritti umani a Tripoli, essendo la città ormai diventata la nuova frontiera dell’Europa in cui si cerca di bloccare i migranti ancora prima che riescano ad entrare entro i confini europei, è un tema ricorrente da anni. E il ruolo importante dell’Italia nei rapporti con la Libia spinge attivisti e Ong a organizzare manifestazioni e sit-in per protestare contro un sistema di accoglienza disfunzionale e per tenere viva la memoria di queste persone. Spesso, troppo facilmente dimenticate.

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