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Esclusiva

Gennaio 2 2023
«La vita di prima non esiste più». Scappare in punta di piedi dall’Iran delle proteste

Le voci della comunità iraniana a Roma che, trascorsi più di 100 giorni dall’inizio della rivoluzione, continua a lottare

Andishe non avrebbe mai potuto pensare che le cose avrebbero preso questa piega quando ha lasciato la sua scuola di danza a Mashhad, una delle città più religiose dell’Iran, ha appeso le scarpette da punta al chiodo e si è chiusa alle spalle la porta della palestra dove si allenava di nascosto con le sue amiche. 

«In Iran qualsiasi tipo di danza è vietata, anche quella persiana, che è una tradizione molto antica. Le donne che ballano sono considerate delle peccatrici e, se scoperte, rischiano l’arresto», spiega Andishe, mentre protesta insieme ai suoi connazionali davanti all’ambasciata della repubblica islamica a Roma, dov’è fuggita un anno fa per inseguire il suo sogno e studiare in un’accademia. «Ognuno di noi ha dei motivi profondi che lo spingono a partire e a lasciare la famiglia, gli amici e tutto ciò che gli è familiare. Il mio motivo era la danza». Andishe ha grandi occhi neri, capelli scuri, gambe snelle ed eleganti, da ballerina. Al collo porta appeso un finto cappio e tra le mani ha un cartello per protestare contro le ultime esecuzioni del regime degli ayatollah. «Ogni giorno ci svegliamo con la notizia di un altro giovane morto ed è come vivere in un incubo. Anche se le persone scendono meno in piazza rispetto all’inizio della rivoluzione sono fiduciosa che il regime cadrà, forse ci vorrà un po’ più di tempo, ma succederà», spiega la ballerina e fa un sorriso amaro.

«Dal giorno di fine settembre in cui la polizia morale ha ucciso Mahsa Amini è cambiato tutto. La vita di prima non esiste più per nessuno, anche per chi vive fuori dall’Iran. Molti miei connazionali che sono scappati all’estero hanno smesso di studiare e lavorare per concentrarsi solo su quello che sta succedendo nel nostro paese». È il caso di Mohammad Moradi, il 38enne iraniano che si è tolto la vita a Lione, in Francia, gettandosi nel fiume Rodano il 26 dicembre. «Il mio è un gesto per attirare l’attenzione degli europei», ha detto Moradi nel suo video messaggio di addio. L’uomo viveva da anni a Lione con la famiglia e nell’ultimo periodo si stava impegnando a sensibilizzare l’opinione pubblica su quanto stava avvenendo per le strade iraniane. 

La maggior parte dei manifestanti crede che il supporto dimostrato finora dalla comunità internazionale non sia sufficiente e che serva prendere una posizione più netta su quanto sta accadendo. Shiva, 32 anni, è un’attivista ed è tra i punti di riferimento della comunità iraniana a Roma. La ragazza passa tutto il suo tempo libero sui social a postare video che le arrivano dall’Iran, pubblicare le locandine delle prossime manifestazioni e a parlare con i media. 

 «Quello che chiediamo da mesi è che l’Italia cacci l’ambasciatore iraniano e interrompa i rapporti diplomatici con l’Iran, ma fino ad oggi non è stato fatto nulla di tutto ciò, tranne qualche dichiarazione di circostanza da parte dei vostri politici. La questura di Roma ci ha negato di organizzare un sit-in in centro, che sarebbe stato un gesto molto forte, autorizzando solo le manifestazioni. Ci è stata concessa l’autorizzazione per un sit-in di sole cinque ore a Largo Argentina, ma in un punto nascosto dove nessuno avrebbe potuto vederci. Quando cammino per le strade di Roma con il cartello “Donna! Vita! Libertà!”, che porto sempre attaccato al mio zaino, mi sento spesso osservata. Una volta davanti al Colosseo la polizia mi ha persino fatto dei controlli e intimato di spostarmi, solo perché ero ferma davanti al monumento con il foglio in mano».

Il 28 dicembre il ministro degli esteri Antonio Tajani ha convocato l’ambasciatore iraniano alla Farnesina. Durante la conferenza stampa di fine anno la premier Giorgia Meloni sembra per la prima volta aver preso una posizione più netta su quanto sta accadendo. Meloni ha dichiarato che: «Quello che sta accadendo in Iran è per noi è inaccettabile e non intendiamo tollerare oltre. Abbiamo sempre avuto un approccio dialogante ma se le repressioni in Iran non cesseranno l’atteggiamento dell’Italia dovrà cambiare».

Intanto, la situazione per le strade si fa sempre più incandescente. A., 29 anni, è arrivato a Roma a fine novembre e ha partecipato alla primissima ondata di proteste, quando ancora viveva in centro a Theran e studiava al conservatorio della città. Durante quei giorni è stato arrestato e poi rilasciato, gli hanno sparato a una gamba e non si è potuto recare in ospedale perché sapeva che lì lo avrebbero arrestato. «La questione delle cure mediche è fondamentale. I manifestanti non possono andare in ospedale perché sanno che potrebbero essere riconosciuti. Così molti medici e infermieri hanno iniziato a fare il giro delle case e a curare i protestanti feriti a domicilio. È il caso di Aida Rostami, una dottoressa che nelle ultime settimane si occupava di curare i manifestanti, il cui corpo è stato ritrovato dilaniato dalle torture. Secondo le autorità la sua morte sarebbe stata invece causata da un’incidente stradale. La stessa sorte è toccata ad Aylar Haqqi, una studentessa di medicina che è stata uccisa dalle forze di sicurezza del regime, anche se la versione ufficiale dice che è caduta nella diga di un cantiere». 

«È terribile il trattamento a cui sono sottoposte le persone. Tutti rischiano tantissimo, dai giovani studenti, passando per i dottori, fino ad arrivare alle ragazze e ai bambini», dice A. Le donne che scendono in piazza, come ha rivelato uno scoop del Guardian, vengono colpite in punti diversi rispetto ai maschi. Agli uomini la polizia spara alle gambe e alle braccia, le ragazze invece vengono colpite soprattutto al seno, alle parti intime e agli occhi. Pochi giorni fa una ragazza di 14 anni che non indossava il velo è stata identificata dai pasdaran tramite le telecamere di sorveglianza della sua scuola. La studentessa è finita in ospedale per una grave emorragia vaginale ed è morta poco dopo. 

«È molto doloroso vedere i giovani, i bambini e le ragazze morire. Dall’altra parte tutto quello che stanno facendo ci dà la forza per continuare a combattere», conclude Andishe. «Il mio sogno, quando tutto questo sarà finito, è tornare in Iran e aprire la mia scuola di danza per tutte le bambine a cui la nostra resistenza avrà contribuito a restituire la libertà».