«L’arresto di Matteo Messina Denaro è un risultato storico e “il colpo” per eccellenza della lotta alla mafia, dopo trent’anni dalla cattura di Totò Riina», così Leoluca Orlando, ex sindaco di Palermo, commenta il risultato dell’arresto del boss, avvenuto questa mattina in una clinica di Palermo. «La latitanza dell’ex capo di Cosa Nostra era una scoria per l’intero stato di diritto e per il nostro ordinamento costituzionale. In questo momento il pensiero va alle vittime delle stragi che hanno insanguinato Palermo e la Sicilia per decenni».
Orlando è stato primo cittadino del capoluogo siciliano per molti anni e la sua attività ha attraversato il periodo che va dalla metà degli anni ‘80, fino ad arrivare agli anni successivi alle stragi di Capaci e via d’Amelio.
«Messina Denaro veniva considerato e riconosciuto come il nuovo capo di Cosa Nostra, dopo l’arresto di Totò Riina e Bernardo Provenzano. Era il riferimento di potere più alto dell’organizzazione criminale. Gli anni che hanno portato alla sua cattura sono stati un periodo di intenso lavoro e depistaggi. Il lavoro delle forze dell’ordine e della magistratura ha cercato di creargli una sorta di vuoto attorno, arrestando una serie di personaggi a lui legati che erano coinvolti nel garantire la sua latitanza. Il cerchio si è andato stringendo fino ad arrivare a oggi».
Orlando è stato eletto per la prima volta nel 1985 e poi ha ottenuto un altro mandato nel 1993. «La città in quegli anni era un luogo in cui la mafia governava e aveva moltissimi dei suoi uomini infiltrati nelle istituzioni, tra le forze di polizia e persino tra gli uomini di chiesa. La stessa espressione “aula bunker” evoca un’atmosfera di guerra, un conflitto che la mafia combatteva con le armi e lo Stato tramite le sentenze».
Messina Denaro è arrivato ai vertici di Cosa Nostra dopo gli anni ‘80. Secondo Orlando aveva cercato di distaccarsi dall’operato dei suoi predecessori. «Il boss non voleva continuare sulla strada dei corleonesi, mentre lo stragismo continuava a condizionare la vita di larga parte della società siciliana. Dopo le stragi, però, cambiò tutto anche nella società civile».
L’ex sindaco ricorda gli anni dopo il 1993. «Fu un periodo terribile, ma anche pieno di speranza. Furono anni difficili fino a quando non arrivò la presa di coscienza della gente, tramite le catene umane, il comitato dei lenzuoli, le donne e i bambini in marcia. Le stragi di Capaci e di Via d’Amelio furono lo sfregio più grande. C’è da riconoscere che da quel momento in poi i cittadini decisero di dire “basta” e iniziarono i cortei. Nel novembre del ‘93 mi candidai a sindaco. Vennero eletti con me, in consiglio comunale, anche molti parenti di vittime di mafia. Fu il segno di una città che non voleva arrendersi e rassegnarsi».
Orlando spiega che da quell’anno in poi avvennero alcuni fatti che segnarono uno spartiacque nella lotta alla criminalità organizzata. «Fu l’anno dell’arresto di Totò Riina, della presa di posizione di Giovanni Paolo II durante il suo discorso alla Valle dei Templi, ma anche della morte di Don Pino Puglisi». Secondo l’ex primo cittadino la figura di Puglisi è significativa per un motivo particolare. «Il sacerdote non fu assassinato solo perché lottava contro la mafia, ma perché lo faceva aiutando i bambini del suo quartiere a studiare, emanciparsi e, in fondo, ad acquisire nuovi diritti. Questo spaventava Cosa Nostra: il fatto che se i giovani fossero riusciti ad uscire da quella spirale di povertà e criminalità sarebbero diminuite le affiliazioni. L’operato del sacerdote andrebbe riscoperto oggi. La mafia non si combatte solo tramite gli arresti dei boss, i processi e la repressione, ma riconoscendo i diritti di tutti e continuando il lavoro sui territori per strappare le persone all’illegalità».
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