«Politicamente scorretto», così Tiziana Maiolo, giornalista ed ex parlamentare, descrive il suo primo libro di narrativa “28 marzo 1994. Il fattaccio di Viale Famagosta”. Nel volume, presentato il 25 gennaio alla Camera dei Deputati, si intrecciano le storie di quattro donne tra cui appunto una cronista, un’avvocatessa e un pubblico ministero. Sullo sfondo della vicenda c’è la Milano del dopo Mani Pulite e dell’attentato di Via Palestro, anni Novanta. La giornalista e il pubblico ministero si troveranno a indagare su un caso di ‘ndrangheta e a risolverlo contro ogni previsione, battendo sul tempo i «tronfi magistrati i della procura di Milano, pieni di sé dopo Mani Pulite», come li descrive l’autrice. La giustizia, la lotta alla criminalità organizzata e il rapporto spesso problematico tra magistratura e informazione sono i temi principali del romanzo. Tutto è affrontato con la capacità di Maiolo di «sfidare il giustizialismo, riuscendo a superarlo con coraggio e naturalezza», secondo Giorgio Mulè, Vicepresidente della Camera dei Deputati, uno degli speaker e a sua volta ex direttore di Panorama.
Per Pietro Sansonetti, moderatore dell’incontro e direttore del quotidiano “Il Riformista”, Mani Pulite e il passaggio dalla Prima alla Seconda repubblica hanno segnato un punto di svolta nella storia della professione giornalistica, che Maiolo ha esercitato per vent’anni, da cronista di giudiziaria a Milano, come corrispondente de Il Manifesto. Da quel momento in poi il mestiere diventa “giornalismo delle veline”. «Prima si andava sul posto, al Palazzo di Giustizia, per indagare e rapportarsi con la polizia», spiega Sansonetti. «Ora il giornalista più bravo è colui che tratta di nascosto con il PM. La protagonista del mio romanzo, invece, è una cronista che fa così tanto bene il suo dovere da diventare lei stessa investigatrice», », gli fa eco l’autrice.
Maiolo, ex membro dell’Antimafia e presidente della Commissione Giustizia con Forza Italia, dopo un periodo in Rifondazione Comunista e vicina ai Radicali, descrive decisa la situazione attuale come quella in cui «i pubblici ministeri sfruttano il pentitismo e le intercettazioni per indagare perché non sanno fare bene il loro lavoro da soli». In sala si accende un dibattito sulle intercettazioni. Lo strumento è al centro del discorso politico di questi giorni, in seguito alle tensioni che si sono generate nella maggioranza di governo quando il ministro della giustizia Carlo Nordio ha annunciato di star lavorando a una riforma per limitarne “l’abuso”.
«Nel libro vengono descritti fatti che accadono nella realtà di tutti i giorni, tra cui l’incapacità da parte delle procure di fare un uso virtuoso delle intercettazioni come prescrive il codice», dice a Zeta Giorgio Mulè. «Troppo spesso, per mancanza di professionalità, vengono utilizzate come mezzo per la ricerca di una prova che non esiste davvero. Questo è quello che c’è sul tavolo adesso e con cui la politica dovrà fare i conti».
Maiolo conclude la presentazione con un consiglio ai giornalisti del futuro: «Bisogna credere tantissimo nella professione. Chi vuole fare questo mestiere dovrà andare sempre sul posto a vedere cos’è accaduto e non dovrà mai starsene seduto sulla sedia ad aspettare la velina o l’intercettazione. Io stessa, ai miei tempi, ho sempre “scarpinato”, come si dice a Milano, su e giù per la città e per il palazzo».
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