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Esclusiva

Gennaio 29 2023.
 
Ultimo aggiornamento: Gennaio 30 2023
«Viva i Måneskin»: Ernesto Assante racconta il grido delle nuove generazioni

Dai computer in cameretta alle piattaforme di streaming, i ragazzi rivendicano la libertà e la verità della musica, alla faccia degli adulti

«La musica è diversa dalle altre arti, perché racconta il futuro». Ernesto Assante, giornalista e critico musicale di Repubblica, non ha dubbi sulle capacità divinatorie delle idee sonore. «L’avvento del digitale ha rivoluzionato l’industria della comunicazione a partire dall’industria musicale, che è stata strappata dai supporti fisici dei dischi e ricostruita nei lettori Mp3, custodi della completa immaterialità della musica, che esiste solo se ascoltata». Il passaggio dal vecchio mondo fatto di dischi, giornali, dvd e videocassette al mondo nuovo racchiuso in I-Pod e I-Phone, creature di Steve Jobs, ha infatti collocato nelle nostre tasche app e playlist personalizzate nelle quali ciascuno «riflette sé stesso» e «pretende soddisfazioni istantanee, perché può avere ciò che vuole, dove vuole e quando vuole, e non è disposto a volere di meno».

Nel corso dei decenni la musica ha cambiato molti volti. Nel 1954 il rock’n’roll di Elvis Presley ha stravolto l’industria culturale americana e ha portato sulla scena i giovani, figli del boom economico, per la prima volta nella storia dotati di denaro e di tempo libero da spendere in corteggiamenti, macchine, jeans e brillantina tra i capelli. Negli anni Sessanta la scena musicale, spogliata dei contenuti ribelli e rivoluzionari, ha invece vissuto un’epoca di restaurazione, spazzata via negli anni Settanta anche dal caotico punk dei Sex Pistols che ha raccontato «una realtà senza futuro nella quale far notare, però, che esisto e che sono vivo». Gli anni Ottanta, influenzati dalla musica visiva di Mtv, hanno creato artisti «più per l’immagine che per i contenuti musicali», tendenza proseguita anche negli anni Novanta, età d’oro dell’industria discografica. «Nei primi anni Duemila, invece, la musica è morta» spiega Assante. «La televisione ha sostituito l’industria discografica, i talent hanno eliminato gli autori e coperto il vuoto con cantanti che hanno soddisfatto unicamente i retrogradi, entusiasti all’idea che fossero capaci di cantare o di suonare in modo tradizionale». L’avvento del digitale, però, ha rivoluzionato l’antico concetto di musica, ormai «completamente immateriale, frammentaria e spezzettata». Da un lato, l’ascoltatore «skippa i brani, ascolta De Gregori e mette Gigi D’Alessio subito dopo», dall’altro l’artista produce singoli per guadagnare l’attenzione del pubblico e diventa «non-musicista. Già negli anni Settanta Brian Eno ha detto che gli artisti non sono più seminatori, ma raccoglitori. È una posizione creativa contemporanea inevitabile, che consente di assemblare diversamente opere precedenti per creare altre nuove a partire da un’idea innovativa. È pura follia, perché la creazione di musica richiede due requisiti minimi: andare a tempo ed essere intonati. La prima barriera è stata abbattuta dagli strumenti elettronici, la seconda dall’autotune. Si può obiettare che, in precedenza, anche il free jazz ha sovvertito gli schemi tradizionali della musica, ma il non saper suonare un sassofono richiedeva comunque di saperlo suonare, così come Picasso era perfettamente in grado di dipingere per poter disegnare su un volto un occhio qui e la bocca lì». Così, una decina di anni fa una generazione di giovani artisti ha reagito alla mancanza di valori nel mondo della musica con nuove produzioni, realizzate nelle camerette con strumenti a basso costo e distribuite in tutte le lingue e in tutto il mondo sulle piattaforme di streaming, per quei ragazzi cresciuti senza dischi ma ricchi di pensieri e sentimenti diversi da quelli delle generazioni precedenti: «Detesto Fasma se penso che sia Beethoven, ma se concepisco il concetto di novità non posso paragonare le due figure. L’arte rilevante è quella che si adatta al tempo e che racconta cose che altri non dicono. È successo con Bach, è successo con i Beatles. Oggi succede con la trap».

«Con la frase “Ho fatto una svastica in centro a Bologna, era solo per litigare”, Calcutta ha abbattuto la narrazione consequenziale tipica di artisti tradizionali come Emma e ha raccontato un intero universo giovanile sconosciuto agli adulti» prosegue Assante. «Anche la Dark Polo Gang, che fa casino senza vie di mezzo, ha raggiunto un livello stratosferico di esistenza e di vita». La nuova generazione ha dunque delegato alla libertà e alla verità dei giovani artisti il valore esistenziale della musica. «Durante la performance del Primo Maggio, Achille Lauro ha cantato la diversità come opera d’arte, con linguaggio rivoluzionario e strumenti elettronici. A Sanremo Madame ha comunicato di essere viva con una canzone che fa sorgere il dubbio e il fastidio di non capire niente, per suscitare curiosità e catalizzare l’attenzione». Lo stesso obiettivo è stato perseguito anche dalla giovanissima Ariete, cantautrice indipendente dai testi emotivamente carichi e dalle cantilene trap, da Venerus, «il più bel disco italiano dell’anno», da Geolier, rapper napoletano, e da Tha Supreme, «genio che usa un linguaggio incomprensibile e rivoluzionario». Non manca, nella schiera degli artisti innovatori, anche il fenomeno planetario dei Måneskin, band italiana «vera, che senza tradire la sua natura ha sancito l’indipendenza culturale dall’idea dominante che il mondo è fatto alla vecchia maniera». Per Assante, il «gesto politico più potente espresso dal gruppo è stato quello della bassista Victoria De Angelis, che ha suonato nuda ed esplosiva in totale libertà, perché a lei non interessano i guidizi del pubblico e al pubblico non interessa giudicare». Settantamila persone hanno riempito il Circo Massimo perché i Måneskin «fanno rumore, tantissimo», e la band ha stupito i fans con il matrimonio artistico celebrato a Palazzo Brancaccio perché «si è giurata fedeltà eterna e ha smentito così gli insegnamenti delle vecchie generazioni: insieme è dannatamente meglio che da soli».

Nelle ultime tre edizioni di Sanremo, per certificare una rivoluzione già avviata, «Amadeus ha guardato le classifiche di Spotify, ricche di nuovi artisti spesso non conosciuti che fanno musica per chi ascolta musica». L’edizione 2023, invece, sembra puntare alla restaurazione per «ristabilire le vecchie regole nel nuovo mondo». Assante, però, esprime dubbi sul ritorno all’Ariston di J-Ax e di Paola e Chiara, così come sull’esordio di «ragazzini, cloni di altri, che proporranno canzoni omogenee, mainstream, tutte ben suonate e ben cantate, ma che non incideranno in alcun modo nelle nostre vite».

Foto di copertina realizzata con Midjourney – Open AI