A novembre 2021, la rete elettrica italiana ha consumato 290.656 GWh di energia (Giga Watt Orari), con una media mensile di circa 26.500 GWh. Secondo E.ON, l’Italia, nel 2021, ha chiuso con circa il 318.000 GWh di energia elettrica consumata. Il report di E.ON paragona il 2021 al 2019 in quando il 2020 è stato condizionato ampiamente dalla crisi pandemica. Difatti, nel 2020, l’utilizzo di energia elettrica era di soli 302.751 GWh. Al momento però, i consumi energetici non sono in aumento e, anzi, stanno registrando un lieve calo, grazie ad una diffusa cultura dell’efficientamento energetico che spinge verso la transizione ecologica del settore. Secondo il sito di statistiche OurWorldInData, ogni italiano consuma circa 4.554 kWh all’anno, molto di meno rispetto ad un francese (8.097 kWh) o ad un olandese (7.246 kWh), sotto alla media europea (5.345 kWh) ma sopra alla media globale (3.316 kWh) e spreca molto più energia rispetto ad un indiano, che ne utilizza solo 972 kWh.
Secondo l’Ufficio Statistico di Terna, membro del Sistema Statistico Nazionale, la domanda di energia elettrica nel 2021 è aumentata del +6,2% rispetto al 2020. Il fabbisogno di energia elettrica è stato soddisfatto per l’86,6% da produzione nazionale destinata al consumo e per la quota restante (13,4%) dalle importazioni nette dall’estero (42,8 TWh), in aumento del 32,9% rispetto al 2020. Per quanto invece riguarda la produzione annuale lorda del 2021, si parla del 3% in più rispetto al 2020 con un aumento di produzione per quanto riguarda la produzione eolica e fotovoltaica e un diminuzione della produzione idroelettrica, geotermica e delle bioenergie.
Per quanto riguarda invece i consumi di energia elettrica, si ha un 6% in più nel 2021 rispetto al 2020. Dall’osservazione dei singoli macrosettori è stato rilevato un +8,2% per l’industria, un 6,4% sia per i servizi che per l’agricoltura e un +1,3% per il domestico.
L’incremento, segno della ripresa che ha seguito la fine del lockdown del 2020, ha interessato quasi tutte le classi merceologiche. Ad esempio, per l’industria, i più significativi aumenti in valore assoluto sono stati rilevati nella metallurgia, nell’industria dei prodotti in metallo e nella classe delle ceramiche, vetraie, cemento, calce e gesso e altri minerali non metalliferi. Per quanto riguarda i servizi, invece, il maggior incremento in valore assoluto ha interessato il turismo, ossia la classe alberghieri, ristoranti e bar ed altre attività professionali scientifiche e tecniche.
Nel 2019, circa l’11% dell’energia primaria globale proveniva da tecnologie rinnovabili.
In Italia nel 2021, l’energia primaria (ovvero tutte quelle sorgenti energetiche che sono presenti in natura in una forma direttamente utilizzabile dall’uomo senza la necessità di essere sottoposte a trasformazioni industriali o altri tipi di processamento intermedio) veniva attinta del 18.36%.
In Italia la quota di produzione di energia elettrica, derivata da fonti rinnovabili, è il 41,9 % dell’elettricità che usiamo ad oggi (dati basati sul 2021) dalle energie rinnovabili, che derivano da energia idraulica, solare, eolica, geotermiche, biomasse e rifiuti.
Nella repubblica dell’Africa Centrale, ad oggi, utilizzano già il 100%, così come in Nepal, Buthan, Lesotho e Albania.
“Noi oggi, sostanzialmente, abbiamo un 40% di produzione elettrica rinnovabile” spiega il Presidente di ANEV (Associazione Nazionale energia del vento) Simone Togni.
“Secondo la traiettoria di crescita che ha preso il nostro governo, vincolata nell’ambito di decarbonizzazione, contiamo, come nazione, di non aver più bisogno di energie non rinnovabili entro il 2050”. L’Italia, aggiunge, prevede di alzare al 55% la produzione di energia rinnovabile entro il 2030, arrivando al 100% nel 2050. “È un obbiettivo fattibile, anche in tempi più rapidi. L’obiettivo intermedio, quello da raggiungere nel 2030, è passato da 50 a 55, secondo l’ultima revisione dell’Unione Europea” Ma ancora l’Italia non si è ancora adattata.
Negli ultimi anni, senza calcolare la recente crisi della guerra in Ucraina che ha causato un incremento del costo del gas, i prezzi della produzione di energie rinnovabili (come l’eolico e il fotovoltaico) sono diventati competitivi: produrre energia con il vento costa meno che produrla con il gas.
“Sono tre i punti chiavi di questa transizione ecologica: il costo dell’energia elettrica, che sarà più basso e costante, porterà benefici significativi a livello geopolitico perché non dipenderemo più dalle importazioni e soggetti terzi, e ci sarà una riduzione della bilancia commerciale anche rispetto alle importazioni di carbone e petrolio”.
Si prospetta quindi un costo della vita meno caro e più green. O forse no?
«Le fonti rinnovabili non hanno impatto ambientale in quanto l’energia che viene prodotta è sprovvista di elementi inquinanti per l’atmosfera, eliminando le combustioni di fossili. Si ridurrebbe l’emissione di gas che genera mutamenti climatici, come ad esempio il Co2, e si risolverebbe l’attuale crisi economica. Tutti aspetti positivi che però porteranno riscontri a lungo termine».
L’Italia ha un livello di inquinamento molto alto. Si posiziona infatti al sessantasettesimo posto tra i paesi con più inquinamento atmosferico, secondo il rapporto annuale del World Air Quality Report di IQAir. «All’anno si contano migliaia di morti premature per problemi respiratori, causati dall’inquinamento atmosferica» afferma Togni. Secondo i calcoli dell’Eea (European environment agency) le morti premature sono state 58.600 mila per esposizione al particolato fine, 14.600 al diossido di azoto e 3.000 all’ozono: i numeri più alti di tutto il continente al 2020, secondo i dati relativi al 2020.
«Anche se si dovesse raggiungere in poco tempo la transizione ecologica» conclude Simone Togni «ci vorrebbero alcune decine di anni per far si che l’emergenza climatica rientri».
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