Attenzione! Questo articolo è stato scritto più di un anno fa!
!
Esclusiva

Gennaio 21 2023
Il cemento del Pantheon salverà l’ambiente

Una ricerca rivela che la tecnologia usata dai nostri antenati latini ci svela la via per salvare il pianeta dagli effetti del cambiamento climatico

Una cupola maestosa svetta tra le viuzze del centro di Roma, il segno riconoscibile di una struttura che ha ottenuto anche l’encomio di Stendhal. «Il più bel resto dell’antichità romana. Un tempio che ha così poco sofferto, che ci appare come dovettero vederlo alla loro epoca i Romani», scriveva l’autore francese. È il Pantheon. Oggi si scopre che la sua impeccabile conservazione è dovuta al cemento di cui è fatto, una miscela che potrebbe contribuire a salvare il pianeta degli effetti dell’inquinamento.

La ricerca

Gli scienziati dell’Università di Harvard e del Massachusetts Institute of Technology, in collaborazione con il Museo Archeologico di Priverno hanno, infatti, scoperto l’antico segreto degli artigiani latini per costruire edifici duraturi. In uno studio pubblicato sulla rivista Science Advances, il team, guidato da Admir Masic, ha analizzato le strutture dei materiali antichi utilizzati nei monumenti scoprendo che, come si ipotizzava da anni, il segreto della loro durabilità fosse legato all’utilizzo di materiale pozzolanico, una particolare cenere vulcanica descritta come un elemento chiave negli scritti degli architetti dell’epoca. Tuttavia, lo studio nuovo suggerisce che la vera chiave per la durabilità del cemento romano potrebbe essere una miscela di polvere e frammenti di calce, noti come clasti calcarei, che venivano aggiunti al composto a temperature molto elevate.

«Durante la miscelazione a caldo – spiegano gli scienziati – i clasti di calce sviluppano un’architettura nanoparticellare caratteristicamente fragile, creando una fonte di calcio facilmente fratturabile e reattiva. Il materiale finale può reagire con l’acqua creando una soluzione satura di calcio, che può ricristallizzarsi come carbonato di calcio e riempire rapidamente le fessure che vengono a crearsi con le crepe all’interno del cemento. Tali reazioni avvengono spontaneamente e riparano automaticamente le eventuali crepe prima che si diffondano».

Il team di ricerca ha utilizzato tecniche di imaging multiscala e mappatura chimica ad alta risoluzione per analizzare i materiali antichi utilizzati dai romani. Questo approccio ha permesso loro di identificare i componenti chiave del cemento romano e di capire come questi componenti interagivano tra loro per creare un materiale così resistente. Gli scienziati hanno anche condotto una dimostrazione pratica per testare la loro teoria sulla miscelazione a caldo. Hanno creato due campioni di calcestruzzo, uno miscelato con formulazioni antiche e uno con tecniche moderne, e li hanno incrinati. Dopo aver versato dell’acqua sui due campioni, hanno scoperto che il modello antico ha mostrato un miglioramento significativo nelle crepe entro due settimane, mentre il modello moderno non ha mostrato alcun miglioramento.

Dall’antihcità ai giorni nostri

Questa scoperta potrebbe avere un impatto significativo sull’industria edile moderna, in quanto potrebbe fornire nuove opportunità per sviluppare materiali da costruzione più resistenti, duraturi ma soprattutto sostenibili. Del team ha fatto parte anche Paolo Sabatini, co-founder di Dmat, una startup deep-tech che produce calcestruzzo sul modello di quello romano. L’imprenditore oggi racconta a Zeta la genesi di questo rivoluzionario progetto: «Tutto è iniziato nel 2018 quando Admir Masic, Professore associato di Ingegneria ambientale al MIT – Massachusetts Institute of Technology, ha avviato una ricerca internazionale per scoprire il segreto alla base della durabilità del calcestruzzo degli antichi romani. Non si era capito come alcuni edifici, ponti e acquedotti di duemila anni fa, pur avendo affrontato le intemperie e l’incuria dei secoli, abbiano potuto arrivare in alcuni casi intatti sino ai giorni nostri. Se si fosse scoperto il segreto, forse, sarebbe stato possibile utilizzarlo per realizzare costruzioni più durature, sicure e sostenibili». Al primo incontro, durante il quale Sabatini inizia a nutrire per Masic una profonda stima, ne seguono altri finché i due non decidono di «fare qualcosa insieme con l’obiettivo, una volta ultimata la ricerca, di trasformare questa conoscenza in una tecnologia utile all’intero pianeta».

Dopo una serie di esperimenti e ricerche sul campo è nato il primo calcestruzzo di nuova generazione, D-Lime. Questo prodotto «combina performance di durabilità e sostenibilità mai raggiunte prima. Permette infatti di allungare la vita e la qualità delle costruzioni attraverso la sua capacità di auto-riparare eventuali crepe. Un processo che, analogamente al cemento romano studiato da Masic, viene attivato dall’acqua che, invece di ammalorare il materiale, richiude le fessurazioni con un processo simile a quello della cicatrizzazione dei tessuti biologici».

Il calcestruzzo sviluppato da DMAT consente anche un risparmio del 20% di emissioni di CO2. Un grande passo se si conta che, come è scritto nello studio, e come conferma Sabatini il mercato del calcestruzzo «oggi vale circa 650 miliardi di euro ed è chiamato a rispondere all’urgente sfida di decarbonizzare i propri processi produttivi, tra i più impattanti del pianeta: la sua filiera industriale è infatti responsabile del 8% delle emissioni di CO2. Il calcestruzzo è il materiale più utilizzato dall’uomo, ogni anno ne vengono prodotte 33 miliardi di tonnellate, 18 volte il peso della produzione globale di acciaio e otto quello di tutte le automobili prodotte nella storia. L’equivalente del peso di 5 miliardi e mezzo di elefanti. Grazie ad esso, ogni anno vengono costruiti quattro milioni di edifici, più di 11mila al giorno».  

L’innovazione non corrisponderà ad un innalzamento dei prezzi, infatti la realizzazione del calcestruzzo D-Lime «sarà affidata direttamente ai produttori che, tramite un piano di partnership produttive e di licenze destinato agli stessi produttori, alle aziende di costruzione e agli sviluppatori immobiliari, potranno applicare direttamente la nuova formula senza modifiche agli impianti produttivi. La tecnologia di DMAT permetterà di realizzare prodotti che a parità di performance consentiranno di ottenere un risparmio fino al 50% dei costi. La tecnologia di DMAT permetterà di realizzare prodotti che a parità di performance consentiranno di ottenere un risparmio fino al 50% dei costi».

Leggi anche: L’Onu e la COP15 non hanno proposto di cacciare gli indigeni per salvare la biodiversità