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Esclusiva

Febbraio 8 2023.
 
Ultimo aggiornamento: Febbraio 16 2023
Il migliore

L’8 febbraio, Lebron James è diventato il primo marcatore nella storia della NBA. Con 38 punti contro i Thunder ha superato Kareem Abdul-Jabbar

Di quel 29 ottobre 2003 non è rimasto niente. Non è sopravvissuta la televisione con il tubo catodico, i cellulari con la tastiera e anche i giornali non se la passano tanto bene. Il 29 ottobre del 2003, però, una copertina di un giornale prendeva vita diventando realtà: Lebron James, 18 anni, nativo di Akron (Ohio), mostrava per la prima volta al mondo come mai Sports Illustrated, in una celebre prima pagina, aveva avuto ragione a chiamarlo “The Chosen One”, il Prescelto, quando non era altro che un ragazzino povero della periferia di Cleveland. Non aveva un padre, ma schiacciava con una sola mano a quattordici anni. I compagni a mala pena toccavano il ferro.

I primi due punti della sua carriera NBA arrivano contro i Sacramento Kings. Non ha la palla in mano, esce da un blocco portato da Ilgauskas e riceve da Darius Miles sul lato destro del campo, l’avversario è rimasto indietro, James si solleva, solo rete. Sono i primi due punti della sua carriera NBA, ll’8 febbraio 2023 è arrivato a 38.390, abbastanza per superare Kareem Abdul-Jabbar, diventare il miglior marcatore di sempre della lega e far parlare di lui per qualche altro giorno. I Lakers perdono ancora e si allontanano dai Playoffs? Non importa: Lebron è entrato ufficialmente nell’immortalità sportiva che in America si concede a tre soli personaggi. Michael Jordan, Muhammad Ali e Babe Ruth.

Non cattivo

Per mettere la freccia su Kareem, Lebron ha scelto un fadeway, un movimento cadendo all’indietro. Portato in NBA da Wilt Chamberlain, il primo specimen della storia della palla a spicchi made in Usa, la mossa è tornata popolare grazie a Dirk Nowitzki, il tedesco dei Dallas Mavericks. Per sua sfortuna, anche Lebron ha dovuto fare i conti con l’efficacia del tiro cadendo all’indietro. Era il 2011, Lebron non aveva vinto ancora nessun titolo e “The Chosen One” era già stato etichettato come “The Overrated One”. Ad ogni modo, prima della partita, in un’intervista con Michael Wilbon su ESPN, aveva dichiarato di sapere come NON voleva superare Jabbar: «Con un tiro libero». Un incubo che lo tormenta da tutta la carriera.

Nei venti anni di NBA Lebron è stato tutto, la sua vita sportiva si può guardare attraverso un prisma di cristallo. Da un lato è il giovane di belle speranze frustrato per i risultati iniziali della sua prima avventura a Cleveland e da un altro punto di vista è la celebrità che rese il suo cambio di maglia un evento marketing di beneficienza andato su ESPN. Con il passare del tempo, poi, sono apparse altre immagini: il ritorno a Cleveland, la rimonta più spettacolare nella storia del basket (NBA Finals 2016 n.d.r), l’ultima fuga a Los Angeles, un altro titolo e una pagina di storia da scrivere tra Hollywood e il parquet.

Di sicuro una cosa Lebron Raymone James non è mai stato: sportivamente cattivo. Lebron non è Michael Jordan, né Kobe Bryant. Lebron James vuole giocare con i suoi amici, non vuole distruggerli per avere un vantaggio mentale su di loro. L’odore del sangue lo inquieta, non lo esalta. Per questo ha vinto solo quattro titoli. Se la cattiveria sportiva gli fosse appartenuta, le gioiellerie d’America oggi sarebbero tutte chiuse.

The King is alive, long live the King

Il re è vivo, lunga vita al re. Così a Los Angeles hanno accolto il sorpasso su Jabbar. Un Laker che supera un Laker, nemmeno Jack Nicholson, super tifoso dei gialloviola, avrebbe potuto pensare a una sceneggiatura così perfetta.

Kareem, che oltre ad essere un giocatore di basket è anche uno dei più grandi esperti di Harlem Reinassance degli Stati Uniti, ha preso bene il sorpasso di James. Si è congratulato, si è stretto nelle spalle dinoccolate e ha guardato oltre. Quello che Wilt Chamberlain non fece con lui quando nel 1981 fu il turno di Kareem di diventare il numero 1. Il gigante di Philadelphia (Chamberlain n.d.r) si offese grandemente e i rapporti, già difficili con Kareem, diventarono impossibili. Ma Jabbar non è Chamberlain.

A fine partita, nella conferenza stampa, Lebron ha detto di poter contare sulle dita delle mani le volte in cui ha pianto per via della pallacanestro: “Stasera è stata una di quelle, mi sentivo come stessi guardando la partita dalla cima del palazzetto”. Di quell’ottobre 2003 non è rimasto niente. Tranne Lebron James.