«Non prendete me o i miei film troppo sul serio. Pensate che la ministra è interpretata dalla mia pasticcera». Proprio quella di Riccardo Milani che, in occasione del Globo d’oro, ha presentato il suo ultimo film Grazie ragazzi.
Con scarpe comode per le critiche e una giacca larga per vestire bene i complimenti, il regista segue la scia di successo dei precedenti film. Esordita al secondo posto al botteghino alle spalle di Avatar 2, la pellicola mette in scena l’incontro di un doppiatore di film porno, cinque detenuti e una commedia di Samuel Beckett. Basandosi sulla vera storia del documentario svedese del 2005 “Prisonniers de Beckett”, Grazie ragazzi racconta la storia di un attore che si ritrova a tenere un corso di teatro nel carcere di Velletri. Un suo tentativo di rinascita, inaspettatamente condiviso con Giacomo Ferrara, «un attore che quel percorso sembra averlo fatto davvero», e un Giorgio Montanini che «dovunque vada porta con sé gli echi della sua presenza».
Dopo Aria Ferma, il carcere ritorna quindi al cinema. «Lo stampo però è popolare», commenta il regista. «Come lo è lo scopo del cinema. Non tanto rincorrere uno standard sempre più alto, quanto sapersi rendere davvero fruibile». Al centro del suo racconto, Riccardo Milani non vedeva nessun altro che Antonio Albanese, alla sua quarta collaborazione con il regista. «Il suo corpo è una macchina da recitazione. A contraddistinguerlo è una malinconia costante, tipica di tutti i comici», commenta Milani.
Nel palcoscenico del carcere due società differenti, in apparenza opposte, sono costrette a dialogare. Le parole diventano prima litigi e incomprensioni per poi diventare le battute di una sceneggiatura. «In ogni mio film a essere protagoniste sono le contraddizioni dell’Italia e, in fondo, il mondo che vorrei. Un mondo però dal sapore amaro, un misto di speranza e illusione allo stesso tempo».
A differenza della produzione francese, Grazie ragazzi è un semplice ringraziamento, «quello che Antonio deve ai suoi compagni di avventura e che loro gli rivolgono come forma di fedeltà e fiducia». Non una fiducia diretta che si coagula solo nel loro rapporto, ma una relazione che i detenuti ricostruiscono con il mondo. Chi ha paura, chi è annoiato, chi del fuori non ne vuole sapere. A cambiare tutto, per Riccardo Milani, basta però solo uno spettatore.