«La datafication è lo strato fondamentale su cui si basa l’attuale trasformazione del giornalismo». Ne ha parlato alla Media Literacy “Future trends of technology in media and journalism” Colin Porlezza, professore di giornalismo digitale dell’Università della Svizzera Italiana (USI) a Lugano.
Porlezza ha descritto la creazione della megamachine algoritmica e della tendenza a ripensare l’innovazione giornalistica in termini di datafication.
Nel 1967 il teorico Lewis Mumford coniò il concetto di megamachine nel suo libro “The Myth of the Machine” facendo riferimento all’antico Egitto e alla costruzione delle piramidi. Secondo Mumford le megamachine erano costituite da esseri umani schiavizzati e controllati dai re. Un esercito di migliaia di persone costrette a lavorare insieme per costruire le piramidi sotto la supervisione di una feroce sorveglianza amministrativa e militare. Nella sua opera successiva, “The Pentagon of power”, Mumford adattò il suo concetto di megamachine al digitale, affermando che i re erano stati sostituiti da quello che lui chiama il computer Omni, ovvero l’ultimo computer IBM.
«In questa visione critica della digitalizzazione, Mumford profetizza una distruzione totale dell’autonomia, in cui l’essere umano è ridotto a una macchina, diventando produttore e allo stesso tempo prodotto dell’era delle megamachine» dice Porlezza.
L’uso di dati, algoritmi e machine learning, così come le infrastrutture tecnologiche da cui dipendono, rappresentano un nuovo tipo di megamachine. «I dati diventano l’ingrediente principale del modo in cui il giornalismo può essere prodotto, ottimizzato, valutato, curato o semplicemente reso più efficiente», aggiunge.
Tutto deve quindi essere sottoposto alla datafication. Tale concetto è stato introdotto nel 2013 da Mayer-Schönberger e Cukier. I due hanno definito questo processo come la raccolta, la quantificazione e l’analisi di grandi quantità di informazioni, trasformandole in una risorsa sia per la produzione di conoscenza che per la generazione di dati economici.
Il professore ha spiegato: «I dati non sono una novità nel giornalismo, ma hanno una storia molto travagliata a causa dello scetticismo di lunga data dei giornalisti. Alla fine del XIX e all’inizio del XX secolo, per esempio, i dati non piacevano ai giornalisti. Erano una cosa da sociologi, quindi da ricerca e scienza. Anche le strategie della fine degli anni ’90 e dei primi anni 2000 si sono spesso scontrate con una resistenza all’apertura. Alla fine la digitalizzazione ha permesso una svolta computazionale e ha potenziato quantitativamente il giornalismo».
Ora, con l’ascesa dell’intelligenza artificiale, del machine learning e degli algoritmi, l’uso dei dati è diventato ancora più fondamentale nel giornalismo, poiché automatizza la raccolta, la produzione e la distribuzione delle notizie.
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Colin Porlezza ha raccontato di uno dei suoi ultimi progetti di ricerca, nel quale si desiderava capire quali fossero le innovazioni giornalistiche più importanti in cinque diversi Paesi europei negli ultimi 10 anni. I Paesi presi in esame sono Svizzera, Germania, Austria, Spagna e Regno Unito. Sono state condotte più di 100 interviste, sia con esperti del settore come giornalisti e media manager, ma anche con studiosi. È stato raccolto un campione di oltre 1050 innovazioni. Il risultato più evidente è il data journalism. Segue il giornalismo investigativo collaborativo, ovvero la collaborazione tra redazioni, ad esempio, per ridurre il carico di lavoro.
«L’effetto dello sviluppo può essere visto in molte aree diverse all’interno del giornalismo, dal cambiamento della percezione del ruolo giornalistico al modo in cui gli esseri umani devono interagire e collaborare con le macchine. ChatGPT potrebbe essere un esempio dei problemi che i giornalisti devono affrontare» afferma Porlezza.
Bisogna anche fare attenzione a non sopravvalutare l’impatto dei dati e degli algoritmi. Per esempio, l’automazione completamente operativa della produzione di notizie è ancora rara e la supervisione umana è spesso necessaria. Nonostante questa problematica, alcuni giornalisti vedono queste tecnologie come vantaggiose per il loro lavoro e le loro pratiche quotidiane.
Il professor Porlezza ha concluso: «I giornalisti non sono semplicemente ridotti a una copia nella macchina, perché alcuni strumenti sono effettivamente utili. Ciò che ci aspettiamo di vedere di più è l’automazione perché rende il giornalismo più efficiente».